Scritture contabili ed imposizione fiscale nel contratto di Trust

Il Libro degli Eventi

Nella prassi, è consigliabile che il trustee metta per iscritto ciascun processo volitivo che lo porta a prendere determinate decisioni nell’ambito della gestione del patrimonio in trust [1].

Quando vi sono più persone fisiche che si occupano della gestione patrimoniale, le decisioni sono prese attraverso uno scambio di opinioni, (anche solo telefonico) di cui si tiene una breve traccia per iscritto.

Il nostro ordinamento prescrive ai trust l’obbligo di tenuta delle scritture contabili [2].

Per questo motivo, gli avvenimenti che segnano il corso di un trust sono scritti nel c.d. Libro degli Eventi, ossia il registro che racchiude tutte le decisioni (e relative argomentazioni) effettuate dal trustee [3].

Il Libro degli Eventi può contenere:


  • l’istituzione del trust;

  • un prospetto sulle eventuali posizioni di uno o più beneficiari,

  • le modificazioni soggettive (che possono riguardare il trustee o il protector);

  • gli investimenti effettuati con il patrimonio conferito in trust;

  • il rendiconto annuale, o periodicamente previsto dal deed of trust;

  • la destinazione del patrimonio ai beneficiari;

  • le decisioni adottate;

  • le cause di estinzione del trust. [4]


Il Libro degli Eventi, pertanto, riepiloga la storia del trust ed è consultabile da chiunque contragga con il trustee.

Il trustee professionale, in Italia, nella prassi si identifica con una società di capitali, la quale dovrà rendere conto nelle scritture contabili del fondo in trust, dei suoi eventuali redditi, nonché della variazione di valore dei beni sotto il vincolo [5].

Spesso, le società che si occupano professionalmente di trust devono redigere diversi rendiconto per i diversi trust, tenendo la registrazione in ordine cronologico degli eventi che concernono ciascun trust. Tuttavia, nelle scritture contabili è possibili riunire i diversi trust differenziando le categorie di cespiti ad essi appartenenti.

I beni in trust non sono da contabilizzare nello stato patrimoniale del trustee, bensì, vanno posti o in nota integrativa oppure nella relazione di gestione [6].


Obbligo di informazione

La tenuta delle scritture contabili nel Libro degli Eventi non è solo un mezzo per tenere annotate le vicende in cui il trust incorre nella sua esistenza giuridica, bensì è finalizzato all’adempimento di una specifica obbligazione giuridica: il rendicontato [7].

Con ciò si vuol descrivere il diritto che i beneficiari (e non solo) hanno di visionare e consultare le scritture contabili. Invero, i destinatari del rendiconto sono: i beneficiari (eventualmente riuniti in un comitato), il guardiano (se esistente), il disponente, il revisore contabile (se esistente). [8]


[Omissis - Versione integrale presente nel testo]


La prassi vuole che esso sia redatto annualmente, ma ciò non toglie che il settlor possa determinare una periodicità diversa nell’atto istitutivo [11].

Tale elemento risponde a due diverse funzioni.


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Ad esso si accompagnano gli allegati, i quali sono connessi alle attività intraprese nel periodo di gestione. Ad esempio, se nel periodo di riferimento sono stati effettuati degli investimenti, sarà compito del trustee allegare l’inventario di questi, mostrando l’indice differenziale dei valori nel periodo di rendicontato.

Il rendiconto deve essere interamente riferibile al soggetto trustee anche qualora egli, durante il periodo di riferimento, si sia avvalso della professionalità di terzi.


Conto capitale e conto reddito

L’impianto contabile si basa sui concetti di conto capitale e conto reddito.

Tutti i movimenti dei beni dal disponente al trustee, o dal disponente a terzi, sono scritti in conto capitale.

Il reddito che periodicamente è maturato può avere diverse destinazioni. Quando esso viene formalmente accumulato al fondo, diventa capitale e resta così soggetto alle regole del deed of trust che lo trattano.

Sul conto reddito, qualora il trustee abbia l’opportunità di gestirlo discrezionalmente, dovrà essere apposta menzione della sua distribuibilità.

I redditi invece spettanti ai beneficiari, ma non ancora riscossi, vanno in conto reddito con specifica menzione della loro appartenenza.

I documenti che il trustee deve predisporre per la tenuta delle scritture contabili sono, secondo la prassi: lo stato patrimoniale del trust, il conto reddito e le note esplicative.

Le note esplicative sono molto rilevanti nella fase di rendiconto ai beneficiari.

Esse, infatti, riportano nella loro premessa i criteri contabili che sono stati usati dal trustee nella specifica operazione e gli eventi più significativi accaduti nel periodo di riferimento della nota.

Esse, inoltre, dovrebbero contenere i criteri di ripartizione del reddito tra i beneficiari e la loro spettanza eventuale di capitale del trust [12].


Predisposizione dei documenti ai fini della formazione del rendiconto

Gli elementi della contabilità che confluiscono nel rendiconto, per prassi, sono: lo stato patrimoniale, il conto reddito e le note esplicative. Queste ultime contengono tutti i fattori utili alla comprensione dei dati numerici contenuti nello stato patrimoniale e nel conto reddito.

Le note esplicative, dunque, giocano un ruolo fondamentale nel riassumere la posizione contabile del trust nell’esercizio di riferimento. Il loro contenuto è pertanto vario.


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Altri fattori importanti contenuti nelle note esplicative sono l’indicazione della politica di investimento concernente il trust, i valori dei beni conferiti, ed un prospetto di riconciliazione con la dichiarazione dei redditi, il quale sarà differente a seconda che la tassazione avvenga direttamente sul trust (nel caso di trust opaco), oppure in capo ai redditi dei beneficiari (nel caso di trust trasparente) [13].


I “sottofondi”

Molto spesso, un trust può presentare dei “sottofondi”. Infatti, qualora sia previsto nell’atto istitutivo nonché consentito dalla legge regolatrice, il fondo del trust può essere suddiviso con riguardo a singoli beneficiari o a gruppi di beneficiari (come ad esempio un ramo familiare).


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Approvazione del rendiconto

Il rendiconto, una volta ultimato, va portato alla conoscenza dei soggetti destinatari. Le modalità, solitamente, sono indicate nell’atto istitutivo.

Qualora non lo siano non vi è nessun vincolo di forma [14].

Con la approvazione del rendiconto si archivia formalmente un periodo contabile per passare al successivo e, di conseguenza, il trustee, assume la responsabilità di quanto scritto nel rendiconto stesso.

Nel caso di un ufficio di più trustee sarà il deed of trust ad indicare le modalità di approvazione del rendiconto, altrimenti è comunque preferibile la delibera a maggioranza e non all’unanimità per evitare paralisi nella vita del trust.


Il trust come soggetto di imposta



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Residenza fiscale del trust

Affinché un trust sia fiscalmente residente in Italia occorre che si verifichino almeno uno dei presupposti dettati dalla disciplina tributaria, vale a dire abbia sede legale in Italia, oppure che in Italia abbia sede l’amministrazione centrale o l’oggetto principale dell’attività del trust medesimo.

L’Agenzia delle Entrate ha precisato che vengono in uso solo il secondo ed il terzo criterio (sede dell’amministrazione e sede dell’oggetto principale), in quanto, avendo anche i trust interni l’elemento transnazionale della legge applicabile, sarebbe difficile trovare un trust con la sede legale nel nostro territorio nazionale [20].

La sede dell’amministrazione è intesa come il luogo dal quale provengono gli impulsi volitivi dei trust. In mancanza di una sede intesa come una struttura organizzativa, essa coincide con il domicilio fiscale del trustee [21].

Per ciò che riguarda l’oggetto principale, anche tale criterio presenta molte difficoltà applicative, poiché ciò che viene in rilievo qui è la specificità del trust.

L’Agenzia delle Entrate [22] suggerisce di far riferimento al luogo di svolgimento dell’attività di trust, in base al luogo dove si trovano gli immobili (nel caso vi siano patrimoni mobiliari o misti o dislocati in diversi Stati si usa il criterio di prevalenza).

Un altro criterio offerto dall’Agenzia delle Entrate è quello del riferimento alle convenzioni stipulate al fine di evitare doppie imposizioni.


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Alla luce di quanto fino adesso esposto, non è affatto agevole stabilire la residenza fiscale di un trust. Tuttavia, l’interprete potrà adoperare i criteri sopra citati nel modo più congruo alla luce della specificità del caso concreto.


IRES: il trust come ente commerciale o non commerciale



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Tassazione del trust trasparente: individuazione dei beneficiari

Perché un trust sia considerato trasparente, l’Agenzia delle Entrate prescrive che «il beneficiario non solo sia puntualmente individuato, ma che risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza» [28].

Ciò potrebbe portare a pensare che il trustee non goda di alcun potere discrezionale sia in merito alla scelta dei beneficiari, sia sul quantum dari.

L’interpretazione della Circolare sopra citata da luogo a due diverse tesi.

Una prima teoria sostiene che il beneficiario debba essere determinato nell’atto istitutivo del trust in maniera «immediata ed originaria» [29].


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In primo luogo, il soggetto beneficiario deve avere una capacità contributiva attuale rispetto al reddito che gli viene attribuito dal trust. Vale a dire che tale soggetto ha il diritto di pretendere la quota a lui attribuita dal trust.

In secondo luogo, per quanto concerne i creditori del trust, essi non sono riconosciuti dal TUIR come beneficiari finali fino al momento in cui viene concluso il concordato preventivo [34].

In terzo luogo, se vi sono dei beneficiari menzionato nell’atto istitutivo, i quali, tuttavia, non hanno capacità contributiva sul reddito loro assegnatogli dal trust, essi sono comunque beneficiari del trust medesimo.

Tale principio viene espresso dall’Agenzia delle Entrate nel caso di specie dove un trust era istituito per assicurare un’assistenza vita natural durante ad un ragazzo disabile, alla morte del quale, i beni sarebbero rientrati nella sfera patrimoniale del disponente o, se defunto, del coniuge e dei suoi parenti [35].

Nella fattispecie concreta in parola, il ragazzo disabile non è beneficiario in senso stretto, ma costituisce il fine per il quale il trust è stato istituito. Molto importante, dunque, è non confondere i beneficiari e lo scopo del trust. In una fattispecie come quella appena richiamata, pertanto, si è dinanzi ad un trust opaco.


Imposizione fiscale sui redditi dei beneficiari e adempimenti fiscali del trust

Il beneficiario, una volta individuato, viene tassato sul reddito assegnatogli, ai sensi dell’art. 44 comma 1 lett. g) sexies del TUIR [36], ed il criterio di tassazione è per competenza. Questo significa che occorre che il beneficiario abbia la capacità contributiva su tale reddito, che, come poc’anzi detto, si identifica nella possibile pretesa, da parte del soggetto, del reddito assegnatogli dal trust.


[Omissis - Versione integrale presente nel testo]


Primo tra tutti è presentare la dichiarazione dei redditi, inoltre dotarsi di un codice fiscale, e, qualora eserciti un’attività economica (anche se non prevalente), aprire una partita IVA.


Interposizione fittizia

Una delle anomalie che può presentare il trust è quella di un disponente – beneficiario il quale mantenga poteri di indirizzo e gestione sull’attività del trustee. La dottrina, in questi casi, riqualifica questo fenomeno come “interposizione fittizia”.

Essa si ravvisa in presenza di diversi indici.

In primo luogo, il disponente è anche beneficiario dei redditi prodotti dal trust.

In secondo luogo, il trust risulta revocabile a totale discrezione del disponente.

In terzo luogo, il ruolo del trustee è svuotato e ridotto alla minuta amministrazione senza alcuna potestà decisoria in merito alla gestione del patrimonio.

Infine, il disponente continua a disporre della gestione dei beni in trust.

Si è dinanzi ad un’interposizione fittizia qualora il trustee sia residente in un paradiso fiscale e il disponente abbia di fatto la disponibilità del patrimonio. In questo caso è possibile, comunque, tassare i beni vincolati anche se situati all’estero.

Invero, è possibile applicare la disciplina Cfc (controlled foreign companies). Per far ciò, occorre in prima analisi verificare se il trust rientri nella categoria di impresa (o altro ente), al fine di applicare l’art. 127 TUIR in materia di responsabilità dell’ente controllante.

Occorre, dunque, riscontrare che fra i beni facenti parte del trust vi siano delle partecipazioni in una società residente in uno stato indicato nella Black list. Inoltre, il trust deve disporre almeno in parte del reddito prodotto da tali società [38].


Il trust offshore

Il trust offshore è il particolare trust all’interno del quale il trustee (sia esso persona fisica o persona giuridica) risulti domiciliato e residente in un paese a fiscalità privilegiata.

Nonostante questo possa apparire vantaggioso sotto il profilo fiscale, non bisogna trascurare fattori importanti concernenti lo specifico trust.

Alcuni di questi fattori sono:


[Omissis - Versione integrale presente nel testo]

Salvo il caso che il trustee sia in grado di avvalersi di complesse strutture di programmazione fiscale internazionale, è poco utile sotto il profilo fiscale collocare un trust all’estero per motivi di vantaggio fiscale.

Inoltre, un suo peso lo ha il fatto che non vi siano numerose previsioni legislative volte ad impedire il fenomeno della doppia imposizione nei confronti dei paesi che godono di una fiscalità privilegiata [39].