La strumentalizzazione del Trust a fini elusivi e il Trust autodichiarato

La posizione della giurisprudenza italiana sul trust


I giudici italiani si sono confrontati con un nuovo strumento giuridico dal momento dell’entrata in vigore della Convenzione.

Per questo motivo, i primi passi della giurisprudenza sono stati quelli verso il riconoscimento e la verifica della compatibilità del trust con le norme del nostro ordinamento.

Questo passaggio ha consentito di aprire la strada ai c.d. trust interni grazie al loro formale riconoscimento.


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La querelle in giurisprudenza ha riguardato anche l’ammissibilità del trust c.d. autodichiarato. Nel 2001 è il tribunale di Pisa a pronunciarsi sulla vicenda che riguardava una giovane cittadina italiana, la quale aveva costituito un trust avente ad oggetto un immobile che sarebbe rimasto di sua proprietà, ma sarebbe servito a soddisfare le esigenze del fratello della disponente.

In questo caso, dunque, il tribunale si trova di fronte ad un rapporto di trust nel quale disponente e trustee coincidono, così come coincidono il beneficiario iniziale e quello finale. I giudici si pronunciano favorevolmente riconoscendo la validità del trust [3].

La giurisprudenza attuale, una volta risolta la questione dell’ammissibilità e del riconoscimento del trust inteso come strumento giuridico valido, si trova ad esaminare, caso per caso, quali sono i trust istituiti con una valida causa e quelli che, per contro, hanno come unica finalità quella di eludere le norme dell’ordinamento.



Trust interni e protezione del creditore: esperimento dell’azione revocatoria

Il titolo di questo paragrafo può far inarcare le sopracciglia a molti lettori. Invero, il nostro ordinamento ha costruito le basi del libro IV del codice civile sul presupposto che la parte debole del rapporto obbligatorio sia il debitore.

Tuttavia, l’istituto del trust, se adoperato a tali fini, si presta ad essere un oggetto di elusione dell’art. 2740 c.c.. Proprio per evitare un depauperamento della garanzia patrimoniale prevista all’art. 2740 c.c. [4], la giurisprudenza italiana ha elaborato criteri e soluzioni a favore dei creditori che si trovano in una situazione simile.

Qualora un debitore ponga in essere atti dispositivi del proprio patrimonio al fine di non soddisfare la pretesa del creditore, il codice civile italiano prevede la possibilità, per il creditore danneggiato (e dunque parte debole del rapporto), di recuperare il patrimonio perduto tramite l’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 c.c..

Si consideri una fattispecie nella quale il debitore, ai fini di sottrarre il proprio patrimonio dall’aggressione della parte creditoria, istituisca un trust interno.

La giurisprudenza italiana, in linea con la lettera della Convenzione [5], afferma che la legge regolatrice della controversia non sarà quella scelta dal disponente nell’atto istitutivo del trust, bensì quella dello stato nel quale si è verificato il pregiudizio dei creditori [6].

Di conseguenza, in caso di trust interno, sarà applicabile la lex fori, ossia la legge italiana.

Ai fini dell’esperimento dell’azione revocatoria, l’art. 2901 c.c. pone due requisiti: la scientia damni ed il consilium fraudis. Il primo consiste nella conoscenza da parte del debitore di arrecare un danno al creditore disponendo del suo patrimonio. Il secondo, invece, consiste in una conoscenza anche da parte del terzo acquirente della situazione facente capo al debitore.

In sede di contenzioso, il giudice è chiamato ad un preliminare giudizio di riconoscibilità del trust. A tal proposito, egli potrà ravvisare due diverse cause sottese al conferimento di beni in trust.

In primo luogo, il giudice potrebbe ravvisare la finalità del trust nel successivo soddisfacimento del creditore. Se così fosse, nulla quaestio.

In secondo luogo, potrebbe emergere dall’atto istitutivo la volontà di spogliarsi del proprio patrimonio per proteggerlo dall’aggressione creditoria (con conseguente violazione dell’art. 2740 c.c.).

In quest’ultima ipotesi, il creditore può sottoporre a pignoramento i beni in trust nella titolarità del trustee (per mezzo dell’espropriazione presso il terzo proprietario) [7].


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In tal caso, il creditore agirà per ottenere una declaratoria di inefficacia degli atti dispositivi lesivi del suo credito.

Nell’ambito di un trust si ritengono possano essere lesivi due tipologie di atti: quelli abusivamente posti in essere dal trustee, e quelli limitativi della responsabilità patrimoniale del settlor.

La revocatoria può avere ad oggetto sia gli atti di trasferimento dei beni o dei diritti dal disponente al trustee, sia un atto di disposizione del bene posto in essere dal trustee medesimo.

A fronte di ciò, la sentenza emanata dal giudice ha carattere costituivo ed ha efficacia recuperatoria e reintegrativa.


Giudici e trust interni elusivi: fattispecie concrete diverse ma astrattamente analoghe

Con l’espressione trust elusivo si descrive il trust il quale possiede la sola finalità di eludere la legge a danno dei creditori o il fisco.

In questo paragrafo si esamineranno brevemente due casi, realmente esistiti, tratti da vicende giudiziarie.

La prima fattispecie, prende le mosse da un lodo arbitrale che condanna Tizio e Caio al pagamento di una somma a Mevio. Contestualmente (si tratta, infatti, dello stesso giorno), i due neo - debitori istituiscono un trust avente ad oggetto numerosi immobili e beni. Va da sé che, al momento della trascrizione, Tizio creditore viene a sapere della manovra della parte debitoria, rivolgendosi, pertanto, al GIP chiedendo il sequestro dei beni in trust.

Il GIP, nel suo provvedimento, chiarisce che il trust deve possedere una causa propria tipica, lecita e neutra rispetto ad altre finalità perseguite. Tuttavia, questo strumento giuridico si presta ad essere utilizzato in via elusiva.

Il giudice, perciò, dovrà vagliare in prima analisi le ragioni che sottendono al trust, e, qualora ne rimanesse convinto, considera gli elementi che depongono a sfavore dello stesso ed infine prende una decisione [8].

Nel caso appena citato, il GIP ha disposto il sequestro dei beni conferiti in trust, con l’ipotesi di reato di cui all’art. 338 cp.

La seconda vicenda presenta caratteristiche analoghe a quella appena esposta.

Invero, vi è un soggetto debitore di un istituto bancario, il quale, nello stesso momento in cui la Banca chiede il rimborso del finanziamento, costituisce un trust.

Il finanziamento viene però rimborsato dal terzo garante, il quale, dopo essere stato escusso dalla Banca, cita in giudizio il soggetto debitore esperendo l’azione revocatoria (vedi paragrafo sopra) e chiedendo il sequestro conservativo dei beni in trust (sequestro che viene poi autorizzato dal Tribunale).100

A nulla è servita la clausola che il disponente ha introdotto nel loro deed of trust. Sic: «i beni in trust sono separati dal patrimonio personale del trustee (...) e non sono in alcun modo aggredibili né dai suoi creditori personali né dai creditori del disponente».

Il tenore di questa clausola, usata ed abusata per evidenziare il regime di segregazione patrimoniale, in realtà non fa altro che svelare un indizio della reale finalità per il quale i trust sopra citati erano stati istituti.

L’effetto segregativo opera ex lege (tramite la lettera della Convenzione), pertanto appare quantomeno inutile (per non dire anomalo), che l’atto istitutivo di un trust arrechi una siffatta clausola. Infatti, il giudice attento potrebbe soffermarsi su tale elemento e trovarlo a sfavore del riconoscimento dello stesso trust.


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La giurisprudenza [9] ha riconosciuto, infatti, l’inefficacia degli atti di conferimento dei beni in trust posti in essere da debitori disponenti, qualora il trust sia stato costituito dopo la notifica di un lodo arbitrale che li condannava a versare le somme per le quali erano debitori. Soprattutto quando, una volta istituito il trust, non restava un patrimonio sufficiente alla soddisfazione creditoria.



Trust autodichiarato e garanzia debitoria

Nella vicenda in esame [11], una società di capitali promuove l’esecuzione su dei beni immobili facenti capo al socio accomandatario di una s.a.s.. Quest’ultimo, tuttavia, si oppone contestando il diritto di procedere, in quanto tali beni sono vincolati in un trust del quale egli figura come trustee. I beni sui quali la società di capitali vuol procedere, dunque, non fanno parte del patrimonio del socio accomandatario, e, inoltre, il relativo atto istitutivo è stato registrato nei Registri Immobiliari anteriormente al pignoramento.

Il trust autodichiarato è stato creato dal socio accomandatario per segregare il proprio patrimonio non al fine di eludere i creditori, bensì per proteggere il patrimonio nei confronti dei creditori che avevano sottoscritto l’accordo con la s.a.s. in liquidazione.

Nella vicenda in parola, pertanto, il soggetto attore estraneo a tale accordo ha promosso l’esecuzione immobiliare su dei beni ormai sotto effetto segregativo del trust.

Davanti a questa situazione il giudice dell’esecuzione sospende, ai sensi degli artt. 624 e 616 cpc, l’esecuzione promossa dalla società di capitali e si sofferma sul trust istituito dal socio accomandatario.

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Valutazione di meritevolezza in sede di giudizio

Come già esposto poc’anzi, il giudice opera un preventivo vaglio di riconoscibilità del trust instaurando una sorta di giudizio incidentale.

Il criterio attraverso il quale viene valutato il trust è la meritevolezza degli interessi ai sensi dell’art. 1322 c.c..

Per questo motivo, la finalità elusiva di un disponente che, con astuzia, cerca di mettere al riparo i propri averi a danno dei creditori, incontra uno scoglio importante in questa considerazione del giudice.

Così è successo ad un soggetto che, proclamandosi disponente e beneficiario principale del trust, sosteneva di aver messo al riparo ogni suo bene da possibili aggressioni creditorie.

Il giudice [13], nel valutare la meritevolezza dell’interesse sotteso al trust, deve bilanciare l’autonomia privata con il limite dell’art. 2740 c.c. (ossia la norma chiave della garanzia patrimoniale debitoria).

A nulla sono servite, nel caso concreto, clausole apparentemente perentorie come la seguente: «lo scopo del presente trust è quello di proteggere il patrimonio del disponente». Il trust in parola non ha passato l’attento vaglio del giudice.

Ancora una volta, il disponente sembra aver confuso quella che è la causa, con l’oggetto-effetto del trust, ossia la segregazione patrimoniale.

La legge scelta nel caso concreto appena esaminato (e statisticamente la più adoperata), è la legge del Baliato di Jersey.

Ciò che pone a rischio la buona fede del trust sono i c.d. reserved powers da mero capo al disponente.

Alcuni di essi riguardano il potere di cambiare (nel corso del rapporto) le figure del trustee, nonché quelle dei beneficiari e del guardiano.

La sentenza poc’anzi evocata rileva che la legge del Baliato di Jersey ha limitato la possibilità di far dichiarare da un giudice il trust shame a causa dei pregnanti poteri lasciati in capo al disponente.

Tuttavia, continua il giudice, la L. 31 maggio 1995 n. 218, nel suo art. 13, prevede la prevalenza della lex fori qualora quella scelta dalla parte sia contro l’ordine pubblico.

Pertanto, il problema si sposta sulla concezione di ordine pubblico, identificato come insieme delle norme e dei principi essenziali di un ordinamento [14].

Tale contro limite rappresenta, per il giudice del vaglio, la valvola contenitiva rispetto a leggi straniere che possano essere utilizzate al fine di eludere le leggi del nostro ordinamento.


Panorama delle decisioni più rilevanti in materia di trust

In questo paragrafo finale saranno prese in considerazione le decisioni dei giudici di merito più importanti in materia di trust.

Invero grazie al lavoro dei giudici, l’istituto del trust ha ampliato notevolmente il suo campo di operatività. Nel 2006 numerose pronunce giurisdizionali hanno evidenziato funzionalità specifiche del trust nel nostro ordinamento:


  • viene ammessa l’omologazione del verbale di separazione personale dei coniugi con relativa istituzione di un trust autodichiarato con finalità di separare i beni costituiti in fondo patrimoniale una volta cessato il vincolo coniugale [15];

  • il trustee non può far fronte alle sue obbligazioni personali contratte dal genitore dei beneficiari con i beni in trust, in quanto ciò esula dai poteri conferitigli dall’atto istitutivo [16];

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  • viene autorizzato un trust per mezzo del quale viene segregata una somma di denaro pretesa da un creditore, il quale aveva proposto azione revocatoria ordinaria a causa di una vendita d’immobile ad una società poi fallita [18];

  • il curatore fallimentare viene autorizzato, nella sua qualità di trustee, ad accettare le somme dovute da una banca condannata, in sede di azione revocatoria, durante il processo di appello [19];

  • il giudice, nominando l’amministratore di sostegno ad un incapace, autorizza l’istituzione di un trust nell’interesse dello stesso, del coniuge e del figlio, permettendo al trustee l’individuazione dei soggetti beneficiari finali tra coloro i quali si sono particolarmente distinti nei rapporti relazionali e di assistenza con il figlio del beneficiario (incapace anch’egli) [20].


Nell’anno successivo si riscontrano alcune importanti pronunce tra cui:


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  • i beni facenti parte del trust fund non possono essere passivi di sequestro conservativo da parte dei creditori del disponente. Il giudice riscontra che tali beni non sono più di proprietà del disponente ma del trust [22].


Il giudice inibisce l’atto di revoca del guardiano di un trust. Invero tale atto non può essere discrezionalmente posto in essere dal disponente, bensì devono esservi giustificati motivi [23].

Nel 2008 vi sono state molte sentenze che hanno segnato la vicenda del trust in Italia. Passeremo in rassegna solo alcune di queste per poi giungere alla pronuncia della Corte di Cassazione:


  • viene omologato un atto di separazione coniugale all’interno del quale si istituisce uno specifico trust con la finalità di gestire i reciproci impegni patrimoniali nascenti dalla cessazione del vincolo coniugale [24];

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  • il giudice autorizza l’istituzione di un trust autodichiarato da parte di un soggetto incapace in favore di se medesimo [27].


Come sopra citato, il 2008 è l’anno nel quale vi è la prima pronuncia della Corte di Cassazione in relazione alla materia del trust. La Suprema Corte emette la sentenza n.16022 il 14 Aprile.

In questa sentenza la Corte afferma che l’incarico di trustee non si esaurisce nel compimento di singoli atti giuridici, bensì si sostanzia in una complessa attività continuativa e improntata a principi di correttezza.

La vicenda giudiziale ha origine del 1997, anno nel quale due coniugi all’atto del divorzio costituiscono un trust in favore delle figlie minorenni al fine di amministrare la casa familiare sita a Londra. I due coniugi si nominano co-amministratori del trust. Dopo un breve periodo la moglie lamenta la violazione da parte del marito delle più elementari norme di correttezza amministrativa, in quanto conduceva in locazione un appartamento lussuoso le cui spese venivano addebitate al trust.


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La moglie chiedeva anch’essa la rimozione del marito dal ruolo di trustee, lamentando che egli avesse rifiutato di collaborare alla gestione del trust. Il tribunale, nel 2002, revocava dall’incarico di trustee sia il marito che la moglie, nominando a sua volta due avvocati del foro di Milano. Secondo i giudici, infatti, entrambi avevano violato gli obblighi di lealtà e correttezza propri del ruolo di trustee, e avevano dato prova della loro conflittualità disattendendo il suggerimento del giudice di delegare a terzi i poteri di gestione.


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Con questa sentenza la Cassazione riconosce l’utilizzabilità in Italia dell’istituto del trust ed il suo concreto funzionamento nel nostro ordinamento, tuttavia, rammenta che tale istituto deve fare i conti con le norme vigenti contenute nel nostro codice civile. Inoltre, la Cassazione vuole invitare a riflettere coloro che intendono istituire in trust sulla opportunità di affidare gli incarichi di gestione a soggetti terzi e indipendenti che siano in grado di rispettare i principi di correttezza e diligenza richiesti dall’incarico fiduciario.