Il sequestro e la demolizione dell'opera edilizia abusiva

Il sequestro del manufatto abusivo

Le opere abusivamente realizzate possono essere sequestrate sia per impedire che il reato sia portato a conseguenze ulteriori, sia per finalità istruttorie.

Si tratta, rispettivamente, del sequestro preventivo e probatorio.

Prima dell’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura penale, numerose perplessità erano state sollevate circa la possibilità del giudice di ordinare il sequestro del manufatto abusivo, sia per il fatto della sussistenza di una previsione, nell’ambito della disciplina urbanistica, della misura dell’ordine di sospensione, avente le medesime finalità e di competenza esclusiva del sindaco; sia per il carattere strumentale del sequestro rispetto alla confisca: essendo anch’essa riservata alla competenza di quest’ultimo, si riteneva che, analogamente, il sequestro fosse precluso all’autorità penale.

Successivamente, con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura succitato, è stato recepito formalmente l’orientamento giurisprudenziale che cominciava a diffondersi, il quale mirava a sganciare la misura cautelare dal sequestro rispetto alla confisca, partendo dalla diversa ratio posta a fondamento dei due istituti. Il primo dei due, infatti, era finalizzato ad evitare che il reato fosse portato ad ulteriori conseguenze e, nel caso di specie, che la costruzione illegittima potesse essere ultimata. Non già a garantire l’attuazione di provvedimenti spettanti alla p.a..

Il sequestro probatorio è disciplinato dall’art. 253 c.p.p., ai sensi del quale "l’autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti. Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo. Al sequestro procede personalmente l’autorità giudiziaria ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria delegato con lo stesso decreto. Copia del decreto di sequestro è consegnata all’interessato, se presente".

Apparentemente, la norma non sembra richiedere che anche il sequestro del corpo del reato sia motivato da esigenze probatorie, a differenza di quanto espressamente richiesto per quello di delle cose pertinenti al reato.

Tuttavia, sul punto è intervenuta la Suprema Corte, specificando che è necessario in entrambi i casi indicare la ragione della necessità del sequestro in funzione dell’accertamento dei fatti, come si desume dalla ratio dell’articolo in esame, e dall’art. 262 c.p.p., il quale dispone la restituzione delle cose sequestrate quando ciò non è più necessario ai fini di prova [1].

Pertanto, anche "in tema di sequestro probatorio di immobile abusivo, laddove, venute meno, per effetto della definizione del procedimento, le esigenze probatorie, l giudice nulla disponga in ordine al bene in sequestro, in particolare non disponendo il sequestro preventivo o conservativo, deve ritenersi illegittima la protrazione del sequestro probatorio stesso al fine di conservare l’immobile in vista della sua demolizione, imponendosi invece la sua restituzione all’avente diritto" [2].

Il sequestro preventivo, invece, costituisce una misura cautelare reale disciplinata dall’art. 213 c.p.p., che ne prevede la possibilità di adozione da parte del giudice, su richiesta del p.m., qualora vi sia il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso o agevolarne la commissione di altri [3].

Esso è disposto con decreto motivato del giudice competente a pronunciarsi nel merito e, prima dell’esercizio dell’azione penale, dal giudice per le indagini preliminari. Qualora, però, nel corso delle indagini non sia possibile attendere il provvedimento del giudice [Omissis - versione integrale presente nel testo].

Ai sensi dell’art. 324 c.p.p., contro tale misura è proponibile richiesta di riesame anche nel merito, la quale non sospende l’esecuzione del provvedimento.

I presupposti per l’adozione del sequestro preventivo sono esclusivamente la corrispondenza tra fattispecie astratta e concreta, alla stregua di un controllo sommario, e la concretezza ed attualità dell’esigenza di prevenzione.

È necessario, però, che sussista il fumus, ovvero l’esigenza concreta ed attuale di prevenzione, con specifico riferimento alla possibilità che la libera disponibilità del bene possa agevolare la prosecuzione della condotta criminosa, da valutare sotto il profilo logico-giuridico e sulla base del principio di effettività causale, che denota il nesso eziologico tra disponibilità della cosa e la sua inequivocabile destinazione alla commissione del reato.

La valutazione di tale pericolo spetta al giudice del merito che, con adeguata motivazione, deve compiere un’attenta valutazione in concreto della pericolosità della disponibilità del bene, in particolare approfondendo la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità della cosa da parte dell’indagato o di terzi possano determinare un’effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, oppure se esse costituiscano solo un elemento indifferente sotto il profilo dell’offensività [4].

Il sequestro in commento può essere di tipo obbligatorio, "quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati" [5]; oppure facoltativo, potendo il giudice, ai sensi del comma 2 dell’articolo 321 c.p.p., disporre per le cose di cui è consentita la confisca.

Oggetto del sequestro preventivo può essere qualsiasi bene a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato, purché questi sia, anche indirettamente, collegato al reato ed idoneo a costituire pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato, ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori illeciti penali [6].

Nel caso specifico di costruzione abusiva, tenuto conto che l’interesse perseguito dall’ordinamento è che l’immobile abusivo venga abbattuto, per eliminare il pregiudizio arrecato al bene protetto, è ammessa l’irrogazione della sanzione ripristinatoria, nonché della misura cautelare in esame, anche nei confronti dell’acquirente dell’immobile successivamente al compimento dell’abuso.

Le sanzioni ripristinatorie, quindi, sono rivolte agli attuali proprietari dell’immobile, indipendentemente dall’essere stati o meno questi gli autori del reato, salva la loro facoltà di rivalersi, in sede civile, nei confronti dell’alienante.

Anche la demolizione dell’opera abusiva, disposta dal giudice penale con sentenza di condanna o altra ad essa equiparata, ai sensi dell’art. 31 T.U., prescinde dalla titolarità del bene al momento del compimento del reato, colpendo solo l’attuale proprietario, anche se persona diversa dall’autore dell’illecito [7].

Analogamente, la restituzione dell’immobile sequestrato deve essere effettuata nei confronti dell’avente diritto, cioè di colui al quale sia stata sottratta la disponibilità dell’immobile al momento dell’esecuzione del provvedimento. È utile specificare, però, che nella materia in esame non vigono i principi del favor possessionis o dello ius possidendi, ritenendosi necessaria la prova rigorosa di un diritto legittimo e giuridicamente apprezzabile sul manufatto, il cui accertamento è demandato al giudice dell’esecuzione [8].

Inoltre, tenuto conto del disposto del terzo comma dell’art. 31 T.U., ove si stabilisce l’acquisizione gratuita al patrimonio del comune nel caso in cui il responsabile dell’abuso non provveda alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella accessoria, vengono restituiti all’ente.

Difatti, dopo che l’autore dell’illecito non ha ottemperato a tali prescrizioni, e, quindi, una volta verificatosi l’effetto ablativo a favore dell’ente locale, il giudice penale disporrà la suddetta restituzione allo stesso ente, e non più al privato responsabile, anche qualora questi sia ancora in possesso del bene [9].

Come anticipato, in materia edilizia, dopo la sentenza definitiva, se non sia stata disposta la confisca e non vi sia stata conversione in sequestro conservativo, le cose sequestrate devono essere restituite a colui che provi di averne diritto. Ove, però, sia pronunciata sentenza di condanna non definitiva, il bene sequestrato per esigenze cautelari può essere mantenuto sotto il vincolo fino a quella definitiva [10].

Giova soffermarsi, inoltre, sulla tematica, particolarmente dibattuta, della possibilità di sottoporre a sequestro preventivo l’immobile abusivo già ultimato.

Il prevalente orientamento giurisprudenziale è concorde nell’ammettere l’applicazione della misura, anche su un bene ultimato ed abitato [11].

Esso prende le mosse dall’analisi della funzione del sequestro in commento, la quale non si esaurisce solo nell’impedire la prosecuzione della condotta criminosa, ma anche nell’evitare che gli autori dell’illecito possano continuare a trarne vantaggio quando questo, dopo l’esaurimento della condotta, continui a produrre conseguenze dannose e antisociali [12].

Tale conclusione è resa possibile dall’attribuzione alla nozione di conseguenze di un significato lessicale che comprenda ogni effetto estrinseco ed ulteriore rispetto all’antecedente che ne rappresenta la causa, ovvero un quid pluirs logicamente e cronologicamente posteriore rispetto al fatto-reato [13].

Tanto è stato di recente ribadito dalla Suprema Corte, che ha chiarito che [Omissis - versione integrale presente nel testo].

Da ultimo, è utile soffermarsi sul rapporto tra le due misure cautelari analizzate.

La giurisprudenza si è mantenuta costante nel ritenere possibile la coesistenze delle stesse su uno stesso bene. Si è ammessa, infatti, la possibilità di disporre il sequestro preventivo su un immobile già sottoposto a quello probatorio, "purché sussista una situazione che renda quantomeno probabile, sia pure in itinere, la cessazione del vincolo di indisponibilità, e di conseguenza, come reale e non come meramente presunta la prospettiva della riconduzione de bene nella sfera di chi potrebbe servirsene in contrasto con le esigenze protette dall’art. 321 c.p.p." [15].


L’ingiunzione di demolizione dell’autorità amministrativa

Ai sensi dell’art. 31, co. 2, T.U., "il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3".

Il primo atto del procedimento di repressione dell’abuso edilizio, quindi, è rappresentato dal provvedimento di diffida, successivo all’accertamento del reato. La funzione del medesimo è quella di consentire il tempestivo abbattimento del manufatto illecito, rendendo noto al responsabile che, in mancanza di adeguamento spontaneo, incorrerà in sanzioni ben più onerose della semplice demolizione.

Pertanto, è sufficiente che il provvedimento di ingiunzione espliciti il tipo di sanzioni che conseguono all’inottemperanza, senza necessità di puntualizzare le aree eventualmente acquisite al patrimonio comunale, ai sensi del comma 3 dell’articolo 31, T.U.

L’atto in questione si caratterizza per l’essere dovuto: in presenza dell’accertamento del reato, unico presupposto per l’adozione del provvedimento di diffida, il dirigente o il responsabile del competente ufficio è obbligato a procedere con l’ingiunzione, indipendentemente dalla sanabilità dell’opera, sulla base di una valutazione di conformità urbanistica.

Dunque, "nello schema giuridico delineato dall’art. 31 del D.P.R. 380/2001 non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell’esecuzione di un’opera in assenza del titolo abilitativo costituisce atto dovuto, per il quale è in re ipsa l’interesse pubblico alla sua rimozione" [16].

Quanto al destinatario della misura repressiva, l’art. 31, T.U. fa riferimento sia al proprietario dell’immobile, sia al responsabile dell’illecito.

La finalità perseguita dal legislatore è quella di conseguire il sollecito ripristino della stato originario dei luoghi e, quindi, il destinatario del provvedimento è, ai sensi dell’art. 7, co. 3, L. 47/1985, il responsabile dell’abuso e non anche il proprietario dell’immobile. La norma, infatti, ancorando lo svolgimento dell’attività riparatoria all’autore dell’abuso, vuole imporre il rispetto delle norme di legge in materia di sollecito ripristino dello status quo ante [17].

È opportuno specificare, al riguardo, che grava in capo al proprietario del bene una presunzione di responsabilità., dovuta al potere di signoria sulla cosa. Tenuto conto della finalità perseguita dalle sanzioni in materia edilizia, infatti, presupposto di legittimità delle stesse è che siano applicate nei confronti del proprietario che, indipendentemente dal fatto che abbia o meno posto in essere l’abuso o abbia delle relazioni con chi di fatto lo ha realizzato, abbia dei poteri di signoria sulla cosa. Il titolare del bene, però, può sottrarsi a tale presunzione provando di essere estraneo all’abuso. Il provvedimento di demolizione, infatti, non può pregiudicare [Omissis - versione integrale presente nel testo].

Ne consegue l’illegittimità dell’adozione della misura repressiva nel caso in cui il proprietario non abbia ottemperato all’ingiunzione di demolizione delle opere abusive eseguite da altri, non avendo la disponibilità dell’area [19].

In altre parole, il dirigente ingiunge la rimozione o la demolizione sia al responsabile dell’intervento, sia al proprietario dell’opera, anche non responsabile, rilevando l’estraneità di quest’ultimo, il cui onere della prova incombe sullo stesso, in relazione alla fase successiva dell’acquisizione del bene al patrimonio del comune.

Nel caso in cui, invece, si sia in presenza di una pluralità di titolari di diritti reali sulla cosa, la diffida deve essere notificata a ciascuno di essi, al fine di consentire loro di darne spontanea osservanza. Pertanto, finché il termine per adempiervi non sia scaduto per ognuno di questi, non può essere adottata alcuna misura repressiva, pena l’illegittimità della stessa [20].

Con riguardo al contenuto del provvedimento di ingiunzione, esso deve indicare specificamente le opere ritenute abusive, o, quantomeno, deve contenere gli elementi che le rendano facilmente individuabili, anche tramite un rinvio per relationem al confronto tra quelle eseguite e quelle assentite nel progetto [21].

La diffida deve essere motivata e, a tal fine, è sufficiente che contenga l’indicazione dei presupposti di fatto e l’individuazione e qualificazione degli abusi edilizi, dal momento che l’abusività costituisce di per sé motivazione idonea per l’adozione della misura.

Inoltre, l’atto deve indicare il termine di novanta giorni entro cui il destinatario deve provvedere. Esso è perentorio, ma prorogabile nel caso in cui la p.a. lo consenta per completare la demolizione o il ripristino dello stato dei luoghi, e le aree di sedime non appartengano ad un proprietario del tutto estraneo alla commissione dell’illecito urbanistico [22].

Nel caso di inottemperanza all’ordine di demolizione nel termine anzidetto, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria alla realizzazione dell’opera, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune, nel limite, comunque, di dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.

L’accertamento dei presupposti, previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente [23].

L’ordinanza con cui si constata l’inottemperanza deve essere notificata a tutti i proprietari, a pena di invalidità.

L’atto in questione, inoltre, deve contenere l’indicazione dettagliata dell’opera abusiva, anche con riferimento all’acquisizione delle aree. L’omissione di tali elementi nel verbale di accertamento comporta l’impossibilità di procedere all’immissione nel possesso e alla trascrizione nei registri immobiliari [24].

L’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale, a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che, con deliberazione consiliare, non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici, e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali [25].

L’eventuale demolizione eseguita successivamente all’accertamento dell’inottemperanza in esame si presenta non solo come illegittima, ma anche illecita, poiché l’immobile è ormai di proprietà dell’ente.

L’obbligo di demolizione permane anche in presenza di un contestuale sequestro penale del manufatto, circostanza che non è di per sé sufficiente a giustificare l’inosservanza dell’ordine, potendo il responsabile del reato chiedere al giudice penale il dissequestro al solo fine della demolizione.

Per concludere, è utile precisare che dal disposto dell’art. 31, co. 4, T.U., emerge chiaramente che il provvedimento con cui si dispone l’acquisizione del bene abusivo al patrimonio comunale, e quello con cui si accerta l’inottemperanza all’ordine di demolizione, sono da tenersi distinti.

Infatti, l’attività istruttoria, che di regola è effettuata da un soggetto diverso da quello competente all’adozione del provvedimento di acquisizione, deve essere verbalizzata. Ad essa si farà, poi, riferimento nella motivazione del provvedimento di acquisizione. Trova applicazione, in tal caso, la consolidata giurisprudenza, che ammette l’uso della motivazione per relationem con altri atti amministrativi, purché questi siano indicati e resi disponibili su richiesta dell’interessato [26].


L’ordine di demolizione disposto dal giudice penale

Ai sensi dell’art. 31, co. 9, T.U., per le opere abusive eseguite in assenza del permesso di costruire, o in totale difformità, o con variazioni essenziali, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 44 T.U., ordina la demolizione, se ancora non sia stata altrimenti eseguita.

La stessa previsione è dettata per gli interventi di cui all’art. 22, co. 3, T.U. [27].

L’ordine di demolizione disposto dal giudice penale, finalizzato al ripristino del bene giuridico leso, ha natura di provvedimento accessorio rispetto alla condanna principale, e costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio, non residuale o sostitutivo, ma autonomo rispetto a quello dell’autorità amministrativa [28].

Esso configura un atto dovuto, adottato nell’esercizio di un potere autonomo, coordinabile con quello dell’ente comunale, ma non suppletivo dello stesso.

L’autonomia funzionale del provvedimento in questione è stata recentemente ribadita dalla Suprema Corte [29], che l’ha espressamente qualificato come funzionalmente autonomo ed accessivo alla condanna principale, rilevando, inoltre, che lo stesso persegue finalità di ristoro dell’offesa al territorio, e che le modalità di applicazione e di esecuzione del provvedimento ripristinatorio devono trovare esatta corrispondenza nella situazione lesiva da rimuovere.

Ne consegue che non vi è alcun rapporto di alternatività tra gli ordini di demolizione amministrativo e penale, essendo il secondo finalizzato ad assicurare il meccanismo sanzionatorio, già intrapreso col primo.

Sui rapporti tra i due provvedimenti succitati, si è espressa in maniera particolarmente significativa la Corte di Cassazione, affermando che [Omissis - versione integrale presente nel testo].

Dunque, l’iniziativa repressiva dell’amministrazione è del tutto svincolata da quella penale, cosicché l’ordine di demolizione può essere impartito dal Comune anche in pendenza di un giudizio penale, e il termine assegnato dalla p.a. per la riduzione in pristino decorre dalla data del dissequestro. Quest’ultimo, infatti, come anticipato, può essere richiesto dal privato, al solo fine di completare la demolizione o la rimozione dell’opera abusiva, in ottemperanza dell’ingiunzione notificatagli dall’ente [31].

In altre parole, al giudice penale è riconosciuto il potere di ordine la demolizione in presenza di un analogo provvedimento rimasto ineseguito, ma l’emissione di questo non inficia la legittimità dell’ordine del giudice [32].

Profili di particolare problematicità sono sorti relativamente alla qualificazione giuridica dell’ordine in esame.

Secondo l’orientamento minoritario, esso configura una pena accessoria, sulla base di una serie di elementi, quali: la necessaria commissione di un reato presupposto; l’esistenza di una sentenza di condanna del giudice nell’esercizio di un potere autonomo; la presenza delle garanzie tipiche del procedimento penale; la non revocabilità, salvo eccezioni, ed inderogabilità della sentenza [33].

Al contrario, la giurisprudenza maggioritaria è concorde nel ritenere che il provvedimento in esame sia inquadrabile tra le sanzioni amministrative di tipo ablatorio e caratterizzate dalla natura giurisdizionale dell’organo che le impartisce. A tale conclusione si giunge necessariamente anche solo considerando il carattere di accidentalità dell’ordine di demolizione, il quale si pone in una condizione di assoluta incompatibilità con quello di automaticità proprio delle pene accessorie [34].

Anche le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno confermato le considerazioni suesposte, chiarendo, inoltre, che "l’espressione “se non altrimenti eseguita” di cui all’art. 31, ult. co., T.U., non riguarda un limite intrinseco al potere del giudice tale da influenzarne la natura, ma si riconnette ad un’eventualità fisiologica e pratica del suo esercizio, che può renderlo inutiliter datur" [35].

Dal riconoscimento di sanzione amministrativa dell’ordine di demolizione scaturiscono diverse conseguenze pratiche.

In primo luogo, ne deriva che essa non passa in giudicato, e, quindi, può essere sempre riesaminata in sede esecutiva, ove ne sussistano i presupposti.

In secondo luogo, l’ordine è revocabile anche quando acceda ad una sentenza passata in giudicato, nei limiti in cui risulti incompatibile con un provvedimento legittimamente adottato dalla p.a., o dal giudice amministrativo.

Infatti, "compete al giudice dell’esecuzione valutare la compatibilità dell’ordine di demolizione con i provvedimenti eventualmente emessi dall’autorità o dalla giurisdizione amministrativa, disponendone la revoca in caso di contrasto insanabile o la sospensione se può ragionevolmente presumersi, sulla base di elementi concreti, che tali provvedimenti stanno per essere emessi in tempi brevi, non essendo peraltro sufficiente la mera possibilità di una loro adozione" [36].

Il giudice competente ad emanare il provvedimento è quello della cognizione con la sentenza di condanna, cui è equiparata quella pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. Nell’ipotesi di omissione della stessa, l’unico rimedio possibile è quello dell’impugnazione del pubblico ministero, non trattandosi di mero errore materiale, né rientrando tale competenza nel novero di quelle del giudice dell’esecuzione [37].

È utile soffermarsi anche sul rapporto tra l’ordine di demolizione e proposizione della domanda di condono.

Questa, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, non produce l’estinzione del reato o della pena. Solo nel caso in cui venga concessa la sanatoria, non trovano applicazione le sanzioni amministrative [38].

La presentazione di detta domanda produce l’effetto di sospendere il procedimento finalizzato alla repressione dell’abuso, senza che, però, operi alcun automatismo giuridico.

Infatti, al fine del pronunciamento della sospensione, il giudice penale "deve accertare la sussistenza delle seguenti condizioni:
  • la riferibilità della domanda di condono edilizio all’immobile cui si riferisce la sentenza;

  • la legittimazione in capo all’istante;

  • la procedibilità e proponibilità della domanda, con riferimento alla documentazione richiesta;

  • l’insussistenza di cause di non condonabilità assoluta dell’opera;

  • l’eventuale avvenuta emissione di un permesso in sanatoria tacito;

  • l’attuale pendenza dell’istanza di condono;

  • la non adozione di un provvedimento da parte della p.a. contrastante con l’ordine di demolizione,

  • l’avvenuto eventuale rilascio di un permesso in sanatoria legittimo ed efficace" [39].


Da ultimo, giova fare riferimento all’applicabilità delle previsioni di cui all’art. 165 c.p., relative alla possibilità di subordinare la concessione del beneficio condizionale della pena anche all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, secondo modalità stabilite dal giudice nella pronuncia di condanna, e salvo che la legge disponga diversamente.

Occorre valutare, cioè, se sia possibile subordinare la sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusivamente realizzata.

Al riguardo, in un primo momento le sezioni unite della Suprema Corte si sono espresse nel senso di ritenere illegittima la statuizione del giudice che sottoponesse la concessione del beneficio in questione alla condizione dell’adempimento dell’obbligo di demolizione della manufatto illecito [40].

Successivamente, tuttavia, si è registrato un radicale mutamento dell’orientamento giurisprudenziale.

Infatti, oggi è pacificamente ammesso il provvedimento giurisdizionale della concessione di cui all’art. 163 c.p. all’esecuzione, da parte del condannato, dell’ordine di demolizione dell’opera abusivamente realizzata [41].

Si è giunti a tale conclusione sulla base del riconoscimento della natura giurisdizionale dell’ordine di demolizione in oggetto che, pur avendo natura amministrativa, è espressione di un potere autonomo e non residuale o sostitutivo rispetto a quello sanzionatorio dell’autorità amministrativa [42].

Tale potere-dovere del giudice penale di eseguire la demolizione dell’opera abusiva con la sentenza di condanna, opera anche nel caso in cui le opere siano state acquisite al patrimonio comunale, con la sola esclusione del caso [Omissis - versione integrale presente nel testo].

Dunque, la subordinazione del beneficio della sospensione della pena alla demolizione del manufatto, e lo stesso ordine di demolizione impartito dal giudice, devono ritenersi operativi non soltanto nel caso di inerzia della p.a., ma anche fino a quando il parallelo e concorrente ordine dell’autorità amministrativa persegua lo stesso obiettivo, giacché entrambe le potestà sono dirette a realizzare lo stesso risultato, ovvero l’eliminazione dal territorio del manufatto abusivo [44].

Per concludere, è utile chiarire che l’ambito di operatività dell’ordine di demolizione in oggetto, da un lato non può estendersi alla lett. a) dell’art. 44, T.U., e, dall’altro, deve ritenersi riferito non esclusivamente alla lett. b) del medesimo, ma anche alle violazioni contenute nella lett. c), poiché sarebbe certamente irragionevole disporre la demolizione nel caso di manufatto abusivo in zona non vincolata e non in quello, sicuramente più grave, di immobile realizzato in zona protetta [45].

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