La conoscenza di quelli che sono i diritti e i doveri di ciascun condomino diviene fondamentale per una gestione intelligente e razionale delle eventuali controversie, ma anche e soprattutto per prevenire ed evitare simili epiloghi.
L’elevato tasso di litigiosità negli edifici condominiali si deve, in particolar modo, al fatto che…
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Si è sempre sul piede di guerra quando si tratta di far valere o semplicemente difendere i propri diritti, mentre si bada poco a considerare se le proprie azioni siano invasive o persino lesive dei diritti altrui. Purtroppo in molti ambienti l’evoluzione sociale non ha incontrato una parallela evoluzione civica e culturale. Anzi si assiste ad una pericolosa involuzione degli stili di vita e dei canoni comportamentali che non fanno altro che minacciare i rapporti in contesti, come quello condominiale, che prevedono una convivenza forzata.
Cerchiamo, allora, di tracciare un manuale del buon condomino partendo dai diritti e doveri classificati nel codice civile.
In base a quanto dispone il testo codicistico ciascun condomino ha il diritto di:
1. Servirsi della cosa comune, traendo da essa tutte le utilità possibili, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne parimenti uso (art. 1102 c.c.);
così ad esempio è irrispettoso di tale disposto il condomino che posteggi la propria autovettura negli spazi comuni, impedendo agli altri di transitare con il proprio veicolo per accedere alla via pubblica. Ovvero colui che lasciando la propria vettura continuamente parcheggiata nello spazio cortilizio e abusando, quindi, del proprio diritto, impedisce o addirittura esclude un godimento analogo degli altri condomini.
Per una simile condotta un condomino si è visto citare in giudizio da alcuni vicini per aver occupato, per lungo tempo, con la propria vettura una porzione del cortile comune, servendosene in via esclusiva e rendendo a loro difficoltoso il passaggio.
La Corte di Cassazione, sulla linea delle pronunce di merito, ha confermato la natura abusiva del comportamento posto in essere, che «non può essere ricompreso nelle facoltà concesse al comproprietario ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., perché tale uso non può alterare la destinazione del bene comune e non può impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della stessa cosa». [1]
2. Disporre del suo diritto…
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3. Concorrere all’amministrazione del condominio (art. 1105 c.c.);
il diritto sulle parti comuni si esercita anche partecipando all’assemblea con un proprio voto, il cui peso è commisurato al valore millesimale della propria unità esclusiva. [4]
La riforma del 2012 ha poi introdotto un altro diritto assai singolare per cui
4. «Il condomino può rinunciare...
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Analogamente, in caso di distacco, non può escludersi un aumento di spesa per gli altri condomini, che si vedranno gravati della quota del rinunciante. Si presume, quindi, che non vi sarà un totale esonero dai contributi di gestione ordinaria per chi opera il distacco.
In caso contrario l’esercizio di tale diritto risulterà a dir poco fattibile.
Rimane fermo, invece, l’obbligo di contribuire alle spese di manutenzione straordinaria dell’impianto centralizzato.
L’articolo 1118, comma 3, c.c. è piuttosto chiaro in merito e stabilisce che…
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Sempre a norma del codice civile ciascun condomino ha il dovere di:
1. Contribuire alle spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, nonché per le innovazioni deliberate dalla maggioranza (art. 1123 c.c.); ciascun condomino deve partecipare alle spese in misura proporzionale al valore della propria quota.
Il diritto di godimento sulle parti comuni è accessoriato da una serie di obblighi che gravano su ciascun condomino in parti uguali. E trattandosi di un’obbligazione propter rem, connaturata cioè alla titolarità del diritto reale, il condomino può liberarsene solo rinunciando al proprio diritto di proprietà.
Tuttavia, per la particolare struttura di un edificio condominiale, alcune parti comuni possono essere suscettibili di diversa utilizzazione tra i condomini o asservire solo talune unità abitative sottraendosi al godimento di altre. Per tale ragione l’art. 1123 c.c., al secondo e terzo comma, prevede dei correttivi al principio generale, delineando la figura di matrice giurisprudenziale del c.d. condominio «parziale» [5]. In base a tali disposizioni la contribuzione dev’essere proporzionata all’uso e all’utilità che ciascun condomino può potenzialmente trarre dal bene comune, senza che rilevi una scelta discrezionale di utilizzo.
Ad esempio se un condomino, pur potendo, decide di non utilizzare l’ascensore, non potrà per questo sottrarsi o contribuire in minor misura alle spese per la sua conservazione [6].
2. Rispettare il decoro sulla cosa comune in ottemperanza ai principi generali della legge e dei regolamenti (art. 1120 c.c.);
è vietato apportare modificazioni alle destinazioni d’uso (art. 1117 ter) o introdurre innovazioni che possano minare la stabilità dell’edificio o alterarne il decoro architettonico. [7]
La legge non fornisce una definizione di innovazione, ma la stessa è stata da tempo coniata dalla giurisprudenza.
Si può, oggi, affermare che per innovazione si intenda…
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Un’isolata, ma interessante, pronuncia emessa dalla Corte di Appello di Roma ha considerato come innovazione vietata l’abbattimento degli alberi siti nel cortile condominiale, in quanto comportante la distruzione di un bene comune e l’alterazione sostanziale di uno spazio originariamente destinato a verde. Qualificata, dunque, come innovazione, una siffatta trasformazione richiede il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio. [9]
Accanto ai doveri fissati a livello codicistico, vi sono, poi, una serie di divieti ascrivibili principalmente a regole di buona condotta che trovano, spesso, puntuale specificazione nel regolamento condominiale. A tali divieti e, latu sensu, alle regole di educazione e corretto vivere si farà riferimento nel capitolo seguente dove verranno tratteggiati i principi che sottendono ai rapporti di buon vicinato.
Qui vale la pena anticipare un’importante novità introdotta dalla riforma del 2012 in merito alla possibilità di tenere animali domestici in condominio. Gli animali rappresentano una delle principali cause di conflittualità tra condomini.
In tanti si lamentano per i latrati dei cani, per la sporcizia che invade il cortile condominiale, per i cattivi odori in ascensore e si preoccupano per la scarsa igiene nell’edificio o per la possibilità di contrarre malattie. Ma allo stesso tempo, per molti, possedere un animale domestico rappresenta un bisogno irrinunciabile.
Il legislatore della riforma ha deciso di privilegiare quest’ultima esigenza. Il nuovo art. 1338 c.c. stabilisce, infatti, che il regolamento condominiale non potrà più contenere norme che vietino il possesso o la detenzione di animali domestici. [10]
Il divieto potrà continuare ad esistere, invece, nel regolamento contrattuale, approvato dal condomino per iscritto e purché la relativa clausola sia trascritta nei pubblici registri immobiliari, risultando diversamente non opponibile ai nuovi acquirenti.
Paradossalmente tale intervento reca con sé il rischio di incrementare la litigiosità tra i condomini per il fastidio prodotto…
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È da tener presente l’ordinanza del Ministero della Salute, entrata in vigore il 23 marzo 2009, che impone ai proprietari degli animali di curare l’igiene e mantenere pulita l’area di passeggio, di utilizzare sempre il guinzaglio (e la museruola per quelli aggressivi), non potendo lasciare l’animale libero di circolare negli spazi comuni. Degli eventuali danni provocati dall’animale…
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In fondo, basterebbe venirsi incontro e osservare preziosi accorgimenti per soddisfare le diverse esigenze e non rendere invivibile il condominio anche per gli amici a quattro zampe.