La natura polimorfica dell'illecito di «riciclaggio» (art. 648-bis Cod. Pen.)

Configurazione del delitto di riciclaggio e forme «alternative»

Il delitto di riciclaggio, in virtù della propria stessa configurazione tipica, è un illecito “polimorfo”: la norma, infatti, contempla – quali forme alternative ed equivalenti di condotte penalmente rilevanti – la sostituzione, il trasferimento ed altre operazioni aventi ad oggetto denaro, beni o altre utilità.


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Semmai, l'evidenziato polimorfismo riflette la complessità delle attività di riciclaggio e soprattutto la caratteristica di questo delitto di non consumarsi, ossia la sua reiterabilità attraverso interventi successivi – nella forma, appunto, della sostituzione, del trasferimento o di altre operazioni – purché ricadenti sugli stessi beni e compiuti da soggetti attivi differenti. [2]

La tecnica esemplificativa aperta, [3] con la quale l'illecito de quo resulta attualmente formulato, non deve trarre in inganno: la fattispecie di riciclaggio non appartiene al genus dei reati c.d. “a forma libera”, [4] ma al genus dei reati c.d. “a forma vincolata”, trattandosi – del resto – di delitto di mera condotta. Né può essere accolta l'opinione di chi, in dottrina, [5] ritiene che l'art. 648-bis c.p. descriva un illecito “a forma quasi libera o poco vincolata”, sul rilievo per cui il Legislatore – nella specie – avrebbe delineato una azione dai contorni in buona sostanza liberi, ma comunque definiti ed individuabili in uno specifico comportamento fraudolento consistente nell'ostacolare o rendere più difficoltosa l'accertamento del delitto presupposto.


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Orbene, ciò premesso, quali sono i tratti caratteristici essenziali della sostituzione e del trasferimento? [6]

“Sostituire” significa “cambiare”, “rimpiazzare” un quid con un altro quid: ai sensi dell'art. 648-bis c.p., quindi, porre in essere una condotta di sostituzione di denaro, beni o altre utilità significa semplicemente cedere proventi illeciti (il bene sostituito) ricevendo in cambio disponibilità di provenienza lecita (il bene sostituente). Ma “cambiare” significa anche “mutare”, per cui la sostituzione comporta sempre – quale effetto pratico – la “trasformazione” del bene sostituito (oggetto iniziale) nel bene sostituente (oggetto finale), la quale può essere “nella denominazione” (allorquando, ad esempio, si sostituiscono banconote con altre banconote di diversa valuta), “nel genere” (allorquando, ad esempio, si cede denaro contante per ricevere un assegno circolare, oppure fiches [7]), nonché “nella natura” (allorquando, ad esempio, si cede un lingotto in cambio di un corrispettivo in denaro); peraltro, nelle ipotesi in cui la scambio avviene con modalità virtuali – e cioè il bene sostituente, a differenza del bene sostituito, non consiste in una res tangibile – l'atto di sostituzione è e non può non essere precipuamente un atto di trasformazione (si pensi al deposito in conto corrente di denaro contante di provenienza illecita: la sua sostituzione si risolve, in buona sostanza, nella sua trasformazione in un diritto di credito per il valore equivalente).


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Per attribuire, quindi, ad entrambe le forme nominate (nell'art. 648-bis c.p.) di riciclaggio autonomi ambiti di applicazione – e ciò per non pervenire ad una inaccettabile interpretazione abrogatrice, nella quale vi sia spazio per una soltanto delle due tipologie di condotta – necessariamente la sostituzione cui si riferisce il precetto incriminatore deve essere intesa in senso stretto, ossia priva di effetti di trasferimento, e altrettanto il trasferimento – cui sempre si riferisce la medesima disposizione – deve essere inteso in senso stretto, ossia privo di effetti di sostituzione. [8]

Di conseguenza, la sostituzione stricto sensu può essere solo quella in cui la trasformazione del bene illecito viene realizzata con il contributo del solo soggetto che lo detiene (si pensi, ad esempio, a chi trasforma proventi illeciti in ricavi della propria attività d'impresa, facendoli figurare come tali attraverso una opportuna alterazione delle relative evidenze contabili), [9] così come il trasferimento stricto sensu può essere solo quello realizzantesi in una dazione senza contropartita, ovvero in uno scambio effettuato in condizioni di significativa sproporzione, tale che il corrispettivo ottenuto dal dante causa non possa ritenersi una sostituzione delle disponibilità di origine delittuosa (si pensi, ad esempio, ai negozi di donazione, alle operazioni di pagamento connesse all'adempimento di obbligazioni nate prima del compimento dell'illecito presupposto, [10] alle operazioni di pagamento effettuate con disponibilità illecite in cambio di servizi, [11] oppure al trasferimento di disponibilità di origine criminale jure successionis [12]).


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In dottrina, vi è chi sostiene che l'art. 648-bis c.p. si riferisca al solo trasferimento giuridico, [13] poiché – sulla base di una interpretazione letterale e logico-sistematica della disposizione, non solo nel quadro della normativa domestica, [14] ma anche nel quadro di quella comunitaria [15] – il concetto de quo non potrebbe che essere utilizzato nel significato di “passaggio interpersonale” e chi, per contro, ritiene che la norma faccia riferimento anche al trasferimento materiale. [16]

Ad avviso di chi scrive, la seconda tesi è da preferire, se non altro perché – a prescindere dal fatto che nel nostro ordinamento esistono disposizioni che si richiamano ad entrambe le species di trasferimento [17] – una interpretazione corretta del fenomeno del riciclaggio, e quindi della fattispecie che lo contempla in astratto, può essere solo quella di tipo criminologico, più aderente alla realtà e più conforme al diritto che conta, ossia il diritto vivente.

Infine, quali sono i tratti caratteristici essenziali delle condotte innominate consistenti in altre operazioni?

In effetti, si tratta di nozione particolarmente ampia e di difficile coagulazione attorno ad nucleo uniforme di tipicità; [18] tuttavia, sia il carattere residuale che assume detta clausola di chiusura rispetto al precipuo significato – appena esaminato – dei concetti di “sostituzione” e “trasferimento”, sia gli artt. 1, comma 2, lett. l) e 12 D.Lgs. n. 231/2007 – in base ai quali per “operazione” si intendono la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento, o comunque una attività determinata o determinabile, finalizzata ad un obiettivo di natura finanziaria o patrimoniale modificativo della situazione giuridica esistente, da realizzare tramite una prestazione professionale – contribuiscono con sufficiente accuratezza a precisare il contenuto della locuzione espressiva.


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Il delitto di riciclaggio può configurarsi in forma omissiva?

La discussa questione della forma assunta dalla fattispecie di cui all'art. 648-bis c.p. e, in particolare, della forma assunta dalle condotte ivi descritte (sufficientemente libera? Quasi vincolata?), ha inevitabilmente posto il problema dell'accoglimento o meno – anche in relazione a tale reato – del combinato disposto con l'art. 40, comma 2 c.p..

In effetti, la complessa e vulcanica normativa antiriciclaggio prevede – sul piano amministrativo – obblighi di collaborazione attiva in capo a diversi e determinati soggetti. [20] In tale ambito, quindi, è naturale domandarsi se siffatta tipologia di obbligo sia o non sia qualificabile come vero e proprio obbligo giuridico di impedire l'”evento” di riciclaggio e, conseguentemente, se in capo all'obbligato alla collaborazione attiva sia rinvenibile o meno una posizione di garanzia.

Orbene, premesso che secondo indirizzo prevalente in dottrina e in giurisprudenza il meccanismo di cui all'art. 40, comma 2 c.p. opera pure a fronte di illeciti di mera condotta (quale è sicuramente il delitto di riciclaggio), allorquando nell'omittente sia ravvisabile l'obbligo giuridico di impedire il fatto illecito altrui, ciò che porta ad escludere la configurabilità di detto reato per omissione risiede nella stessa disciplina della collaborazione attiva che, nell'irrigimentare l'agire dell'operatore, resulta ancora oggi – anche alla luce delle recenti riforme – strutturata su aspetti di carattere eminentemente formale: in altre parole, se è vero – come è vero – che l'obbligo giuridico di impedimento dell'evento si polarizza tutto sull'effetto che deve essere scongiurato, andando così all'essenza del rapporto di protezione o di garanzia, in capo all'obbligato alla collaborazione attiva – invece – gravano doveri codificati e predeterminati in ordine all'an e al quomodo, i quali devono essere osservati a prescindere dall'effetto che con il loro adempimento si ottiene in concreto. L'obbligo giuridico di impedimento dell'evento, cioè, è un obbligo di sostanza, mentre l'obbligo di attivazione dell'operatore è un obbligo di forma, nel senso che, al ricorrere di determinati presupposti, più o meno tipizzati, si polarizza sulla specificità del suo contenuto. [21]

Del resto, i doveri di controllo e sorveglianza contemplati nella disciplina amministrativa antiriciclaggio resultano finalizzati alla esclusiva applicazione delle sanzioni (anch'esse amministrative) nella medesima previste.

In conclusione, non può aversi alcuna estensione dell'ambito operativo della previsione di cui all'art. 648-bis c.p. ad ipotesi meramente omissive. [22]


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A tale orientamento ribatte altra dottrina, la quale fa leva e sulla circostanza per cui la previsione legislativa del concorso omissivo in qualsiasi fattispecie commissiva sia ben ricavabile da precise disposizioni di legge (ad esempio l'art. 57 c.p., in tema di responsabilità del direttore o del vice-direttore di stampa periodica che omette di esercitare il controllo sul contenuto del giornale da lui condotto; l'art. 116 c.p., che equipara espressamente l'omissione all'azione; l'art. 138 c.p.m.p., ove l'iniziale clausola di riserva a favore dell'art. 40, comma 2 c.p. non avrebbe alcun senso se quest'ultima disposizione non si riferisse al concorso omissivo; l'art. 335 c.p.) [24] e sulla circostanza per cui non costituirebbe delitto presupposto – nel quale si dovrebbe consumare il successivo delitto di riciclaggio – la condotta di chi, ponendo in essere una cosciente omissione, di fatto rende impossibile o comunque difficile l'accertamento della origine illecita dei proventi, poiché il concorso omissivo in esame è, appunto, quello nel delitto di riciclaggio e non quello nel delitto fonte. [25]

Invero, al di là della ipotesi in cui ricorra una manifesta disponibilità del garante a “chiudere un occhio” e a non effettuare alcun intervento, ipotesi – la stessa – classificabile non come concorso omissivo in reato commissivo, bensì come contributo morale attivo, occorre analizzare l'elemento psicologico e puntualizzare che il dolo di riciclaggio in capo all'omittente deve essere composto, oltre che dalla consapevolezza della provenienza dei beni, anche dalla volontà di porre in essere un comportamento volto ad ostacolarne l'identificazione della provenienza delittuosa: in difetto di questo dolo, così come strutturato, l'omissione non potrà dirsi “contributiva” del fatto di riciclaggio, ma – al più – legittimante l'applicazione di altre sanzioni penali (art. 55 D.lgs. n. 231/2007), ovvero di sanzioni amministrative (art. 57 D.lgs. n. 231/2007).

L'ostacolo alla identificazione della provenienza della res rileva come evento o come attributo modale della condotta di riciclaggio?

Si è già argomentato come l'elemento dell'ostacolo alla identificazione della provenienza costituisca aspetto connaturato alla condotta di riciclaggio, informandola di sé. Esso costituisce la cifra caratteristica di tale attività criminosa e la sua funzione è quella di tipizzare il comportamento del reo (specie se “innominato”, ossia consistente nelle altre operazioni). In effetti, costituendo il passaggio successivo e terminale di un precedente e illecito momento produttivo, la condotta riciclatoria sconta nelle proprie caratteristiche oggettive il rischio esiziale di individuazione del provento delittuoso, e per questo conforma le proprie modalità attuative all'obiettivo di esclusione o quantomeno attenuazione di tale rischio.

Dette considerazioni, evidenziando la condizione finalistica dell'azione, dovrebbero essere già sufficienti a dimostrare come l'ostacolo in parola rilevi quale tratto modale del comportamento del riciclatore.

Ad ogni buon conto, non pare futile aggiungere una ulteriore riflessione a riprova della correttezza dell'assunto.


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a) Se possiamo prescindere da un evento, comunque non possiamo ignorare di trovarci di fronte ad un pericolo che, per quanto cagionato immediatamente dalla condotta, non può mai dirsi presunto (questa speciale attitudine della azione, infatti, non può essere apprezzata se non nel concreto, rispetto alla reale ed effettiva collocazione nella realtà storica che le appartiene).

b)  [Omissis - Versione integrale presente nel testo]

c) Il tratto modale in parola – contrariamente a quanto sostenuto da certa dottrina, che lo vorrebbe riferito alla sola condotta innominata [32] – deve essere attribuito a tutti i comportamenti contemplati nella norma: ciò in virtù dell'apposizione della virgola tra il riferimento all'ultima condotta e la proposizione modale, della contestuale soppressione della preposizione disgiuntiva “ovvero” tra la condotta di sostituzione e le altre modalità di realizzazione del fatto tipico, della logica necessità di non creare – altrimenti – indebite frammentazioni della figura criminis (infatti, diversamente opinando, non si spiegherebbe l'inserimento di tutte e tre le condotte in un medesimo titolo di reato), [33] nonché in rispetto delle istanze dettate dal principio di offensività. [34] Peraltro, questa soluzione, la più appagante, riesce a focalizzare nell'ostacolo alla identificazione l'offesa tipica della fattispecie, costituendo un utile parametro per la valutazione della lesività delle condotte, per l'accertamento del dolo e per l'individuazione degli elementi differenziali rispetto ad altre fattispecie