Presupposti normativi della condotta di favoreggiamento reale

Tre sono i presupposti che devono essere soddisfatti perché possa dirsi correttamente integrata la fattispecie di favoreggiamento reale: il primo, “positivo”, consiste nella già avvenuta realizzazione di un reato (sia esso un delitto o una contravvenzione) ad opera di altri; il secondo e il terzo, “negativi”, rispettivamente nel non concorso del favoreggiatore nell'illecito già realizzato e nella non riconducibilità del comportamento ausiliatore nello schema tipico della ricettazione (art. 648 c.p.), del riciclaggio (art. 648-bis c.p.) e dell'impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.).

Orbene, posto che il primo presupposto negativo è stato appena esaminato e che il secondo – costituendo espressione di una clausola di riserva determinata, avente lo scopo, in relazione a norme individuate ed in rapporto di specialità bilaterale con il delitto in commento, di stabilire quale sia la disposizione prevalente – sarà l'argomento trattato nel terzo capitolo del presente lavoro, ecco che – in questa sede – possiamo limitare la trattazione al reato fonte.

Innanzitutto, occorre precisare come il rapporto che lega il fatto descritto nell'art. 379 c.p. all'illecito preesistente non sia configurabile – contrariamente a quanto ritenuto da certa dottrina[32] – in termini di “connessione sostanziale”, dal momento che, essendo inammissibile (come si è visto) un concursus subsequens, per il diritto penale sostanziale mai assume e potrebbe assumere rilevanza giuridica ... [Omissis - Versione integrale presente nel testo] ... E detta realizzazione non deve essere meramente supposta, ma obiettivamente provata.[34]

Peraltro, riflettendo sulla formulazione letterale della disposizione e guardando all'ultimo comma dell'art. 378 c.p. (richiamato dall'ultimo comma dell'art. 379 c.p.), giustamente autorevole dottrina[35] ha rilevato l'inesattezza logica dell'utilizzo, ad opera del Legislatore, del lemma “reato”: in effetti, la massima qualificazione giuridico-disvaloriale di un illecito non scaturisce dall'in sé del medesimo, ma dal suo essere funzionalmente legato ad una determinata tipologia di sanzione (pena o misura di sicurezza);[36] dunque, l'esclusione di questa determina a fortiori l'esclusione della massima qualificazione giuridico-disvaloriale, nel senso che il fatto illecito rimane ma non può più definirsi “reato”.

Se è vero questo, allora, la non imputabilità del favoreggiato esclude qualsiasi possibilità di integrazione della fattispecie-reato di favoreggiamento, e ciò a dispetto di chi ha sempre ritenuto che la non imputabilità escluderebbe solo la pena, ma non il reato.[37]

Diverso invece – e più corretto, anzi – sarebbe se presupposto positivo dell'art. 379 c.p. fosse un “fatto di reato”, ossia un fatto perfetto negli elementi oggettivi e ... [Omissis - Versione integrale presente nel testo] ... espressione della attitudine del soggetto a costituire il punto di imputazione di un illecito penale[38] – fa venire meno il fatto del reato precedente.

Ma il “fatto di reato”, ossia il “fatto storico conforme ad una astratta figura di reato”, è il “fatto tipico di reato”, per cui qualsiasi forma di incompletezza della tipicità fa venire meno il presupposto positivo del favoreggiamento; per intenderci: non solo quando difetta un elemento oggettivo (ad esempio, la volontà criminosa non è accompagnata da quel minimum di esecuzione che è richiesto per la sussistenza del delitto tentato), ovvero un elemento soggettivo (ad esempio, l'evento è stato causato senza dolo, né colpa), ma anche quando sia presente una scriminante che, rilevando quale “elemento negativo” del fatto, deve appunto mancare perché la fattispecie possa dirsi integralmente realizzata.[39]

Infine, per quanto concerne la configurabilità del delitto di favoreggiamento durante la permanenza del reato principale, a chi – in dottrina[40] – ha sempre sostenuto che qualunque agevolazione in costanza di una simile condotta si risolverebbe inevitabilmente in una ipotesi concorsuale (quantomeno morale), dovendosi attribuire rilevanza ad un criterio meramente cronologico per il quale l'illecito presupposto deve essere “già commesso”,[41] altra autorevole dottrina[42] ... [Omissis - Versione integrale presente nel testo] ... anche se consapevole che il proprio comportamento contribuisce a sostenere la permanenza), o si guarda al contributo causale alla realizzazione del fatto di reato permanente (si ha concorso se – in base ad una valutazione ex ante – la condotta ausiliatrice, anche se intervenuta dopo l'inizio della permanenza, si pone tra i fattori che in modo apprezzabile hanno contribuito alla produzione dell'evento).

Ad avviso di chi scrive, ferma restando la maggiore fondatezza – in linea di principio – di quest'ultimo orientamento, occorre comunque analizzare le peculiari modalità di integrazione storica dell'illecito principale[43], ben potendo dipendere dalle stesse la preclusione a fortiori della configurabilità del favoreggiamento durante la permanenza.