Massime giurisprudenziali relative al reato di truffa aggravata: l'indebito conseguimento di rimborsi

TRUFFA AGGRAVATA> CIRCOSTANZE AGGRAVANTI EX ART. 640, CO. 2, C.P.

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI II PENALE, sentenza n. 8694 del 26/02/2004 - Relatore: Pietro Antonio Sirena - Presidente: Mario Fantacchiotti.


Massima:

In conseguenza della trasformazione dell’Ente poste in società per azioni, con correlativa perdita delle caratteristiche di ente pubblico, la truffa eventualmente commessa in danno di detto ente configura la fattispecie della truffa semplice, non potendosi configurare la truffa aggravata ex articolo 640, comma 2, n. 1, del codice penale.


Estratto:

«Non è sempre facile applicare i concetti su riferiti a certe fattispecie delittuose, come quella di truffa per cui è processo: infatti, quando un soggetto riesce a ottenere, con artifizi e raggiri posti in essere nei confronti di un istituto bancario (o nel caso concreto di un ufficio postale), il pagamento di una somma che appartiene a un terzo, anche l’ente che ha pagato può subire un danno, potendo essere tenuto a risarcire il titolare del conto corrente (o, nella fattispecie, della pensione).

Tuttavia, a ben riflettere, il soggetto passivo è solo l’intestatario del conto corrente o della pensione, il cui assegno è stato sottratto, giacché è proprio lui il titolare dell’interesse immediatamente protetto dalla norma penale, o se si preferisce il titolare dell’interesse la cui offesa costituisce l’essenza del reato. Mentre l’ente pagatore è solo danneggiato civilmente.

Anzi -ed è questo un passaggio importante ai fini della correttezza della tesi qui sostenuta- la banca (o qualsivoglia ente pagatore) è solo "eventualmente" danneggiata, giacché non sempre è tenuta al risarcimento dei danni nei confronti del destinatario dell’assegno sottratto e fraudolentemente scambiato.


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Quindi, il delitto commesso dall’An. Fu. è una truffa semplice. Peraltro, la soluzione non sarebbe diversa anche se la persona offesa fosse l’Ente poste, dal momento che, con legge 23 dicembre 1996, questo è stato trasformato in società per azioni, perdendo così le sue caratteristiche di ente pubblico.

Né questo Collegio ritiene che sia corretta la tesi di chi ha sostenuto che nell’ipotesi di trasformazione di un ente pubblico in una società privata, non trovino applicazione i principi di cui all’articolo 2 c.p., giacché non si versa in tema di successione di leggi penali, ma di semplice modificazione di una norma giuridica, richiamata dalla norma incriminatrice, che non modificherebbe in alcun modo la struttura del fatto reato.

Tale tesi giuridica, infatti, non tiene conto della circostanza che una modifica legislativa volta alla privatizzazione di un ente pubblico finisce con l’incidere profondamente sia sulla struttura della norma incriminatrice che sul giudizio di disvalore in essa espresso.

Del resto (oltre alle ipotesi dell’ENEL e delle Ferrovie dello Stato su citate), proprio la giurisprudenza delle Sezioni unite di questa Corte, con riferimento alla modificazione del sistema bancario -che il legislatore ha trasformato da servizio pubblico in attività avente natura imprenditoriale e privatistica- ha giustamente affermato che deve trovare applicazione il principio della retroattività della legge più favorevole stabilito dall’articolo 2 c.p..».


CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI II PENALE, sentenza n. 29455 del 10/07/2013 - Relatore: Fabrizio Di Mazio - Presidente: Ciro Petti.


Massima:

Integra il delitto di truffa, e non il meno grave reato di omissione o falsità in registrazione o denuncia obbligatoria (Legge 24 novembre 1931, n. 689, articolo 37), la condotta del datore di lavoro che, per mezzo dell’artificio costituito dalla fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore, Induce in errore l’istituto previdenziale sul diritto al conguaglio di dette somme, invero mai corrisposte, realizzando così un ingiusto profitto e non già una semplice evasione contributiva.


Estratto:

«avendo questa Corte stabilito che integra il delitto di truffa, e non il meno grave reato di omissione o falsità in registrazione o denuncia obbligatoria (Legge 24 novembre 1931, n. 689, articolo 37), la condotta del datore di lavoro che, per mezzo dell’artificio costituito dalla fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore, Induce in errore l’istituto previdenziale sul diritto al conguaglio di dette somme, invero mai corrisposte, realizzando così un ingiusto profitto e non già una semplice evasione contributiva.

(La Corte ha precisato che il meno grave reato di cui all’articolo 37 citato si differenzia dalla truffa per l’assenza di artifici e raggiri sia per la finalizzazione del dolo specifico, diretto ad omettere il versamento in un tutto o in parte di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatoria) (Cass. sez. 2, 3.10.2012, n. 42937). Nel caso di specie l’imputato ha realizzato una condotta esattamente in termini, avendo dichiarato ogni mese all’INPS, con le prescritte denunce contributive, di aver corrisposto somme invece mai corrisposte ai propri dipendenti. Cosicché la Corte territoriale ha fatto esatta applicazione del principio di diritto, di cui nulla si dice nel ricorso.».


CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE PENALI , sentenza n. 6773 del 12/02/2014- Relatore: Giovanni Diotallevi – Presidente: Giuseppe Santalucia.


Massima:

Ai fini della sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 640, comma secondo, n 1, cod. pen. può parlarsi di natura pubblicistica dell’ente concessionario se si accerta che l’affidamento da parte di un ente pubblico ad un soggetto esterno, da esso controllato, della gestione di un servizio pubblico, integra una relazione incentrata sull’inserimento del soggetto medesimo nell’organizzazione funzionale dell’ente pubblico, in modo che la società concessionaria si configuri come organo indiretto della p.a. Ne consegue che, atteso il rapporto strumentale tra enti, non potrebbe parlarsi di danno all’ente partecipante quale mero effetto riflesso della partecipazione societaria.


Estratto:

«La questione sottoposta all’esame della Corte è la seguente: "se, ai fini dell’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen., debba riconoscersi natura pubblica o privata ad una società per azioni partecipata da un ente pubblico e concessionaria di opera pubblica".

2. Osserva la Corte che il ricorso è inammissibile.

2.1. Ai fini della decisione deve esaminarsi la questione giuridica della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen. con riferimento alla s.p.a. Porto d’Imperia, tenendo presente, peraltro, che la valutazione della sussistenza dell’aggravante, pur astrattamente configurabile, non è stata evocata nel caso in esame, in relazione al danno al demanio, in base alla ritenuta impossibilità di quantificazione dello stesso, come affermato dal Tribunale del riesame; e il provvedimento, sotto questo profilo, non è stato considerato meritevole di impugnazione da parte del P.M. ricorrente.


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2.3. Ritiene la Corte che, in realtà, per un corretto esame della questione, non si potrebbe prescindere dal considerare che, nell’ipotesi in cui, come nella fattispecie in esame, la natura pubblica o privata di un ente non risulti chiaramente dalla legge o non sia convalidata da una lunga tradizione giuridica, dovrebbe essere risolto preliminarmente il problema degli "indici di riconoscimento" della natura pubblica di un ente, variamente individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza. La estrema difficoltà di definire il perimetro concettuale della nozione unitaria di ente pubblico ha infatti progressivamente comportato un’analisi di carattere casistico per definire tale categoria. Il problema ha assunto poi una dimensione ancora più rilevante a seguito del processo di privatizzazione di enti pubblici e la conseguente sempre più accentuata tendenza legislativa a riconoscere in capo a soggetti, anche a struttura societaria, operanti normalmente iure privatorum la titolarità o l’esercizio di compiti di spiccata valenza pubblicistica.

Orbene la soluzione di questo problema dovrebbe interessare gli arresti della Corte costituzionale sul punto, gli indirizzi emersi in sede di normazione - comunitaria, la normazione sulle "privatizzazioni" di cui alla legge n. 359 del 1998, nonché la giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, oltre che della Corte di cassazione civile e penale, per verificare la possibilità di superare le distinzioni esistenti nelle singole realtà nazionali, attraverso l’elaborazione di una nozione di "organismo pubblico", che faccia leva essenzialmente su una concezione sostanzialistica o funzionale, anche in base agli interventi della Corte di Giustizia, in ipotesi riconducibili alla questione che qui interessa, sotto il profilo del possesso della personalità giuridica, di diritto pubblico o privato, della presenza di elementi, alternativi fra loro, che facciano ritenere che le decisioni dell’ente siano sotto l’influenza determinante di un soggetto pubblico e che l’istituzione della persona giuridica soddisfi specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale.

In sostanza occorrerebbe avere riguardo al rapporto di servizio tra l’agente e la pubblica amministrazione, caratterizzato dal fatto di investire un soggetto, altrimenti estraneo all’amministrazione medesima, del compito di porre in essere in sua vece un’attività, senza che rilevi né la natura giuridica dell’atto di investitura - provvedimento, convenzione o contratto - né quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisica, privata o pubblica.

Ciò comporterebbe la necessità di verificare se l’affidamento da parte di un ente pubblico ad un soggetto esterno, da esso controllato, della gestione di un servizio pubblico, integri una relazione incentrata sull’inserimento del soggetto medesimo nell’organizzazione funzionale dell’ente pubblico con l’attribuzione della conseguente responsabilità in cui può incorrere il concessionario privato di un pubblico servizio o di un’opera pubblica, quando la concessione investe il privato dell’esercizio di funzioni obiettivamente pubbliche, attribuendogli la qualifica di organo indiretto dell’amministrazione, onde egli agirebbe per le finalità proprie di quest’ultima.

In ogni caso dovrebbe essere analizzata anche la questione concernente la compatibilità di tale operazione ermeneutica con il principio di legalità.


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TRUFFA AGGRAVATA> SOGGETTO PASSIVO

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE II PENALE, sentenza n. 44929 del 12/11/2010 - Relatore: Domenico Gallo - Presidente: Pietro Sirena.


Massima:

L’integrazione del reato di truffa non implica la necessaria identità fra la persona indotta in errore e la persona offesa, cioè il titolare dell’interesse patrimoniale leso che subisce le conseguenze patrimoniali dell’azione truffaldina, ben potendo la condotta fraudolenta essere indirizzata a un soggetto diverso dal titolare del patrimonio, sempre che ovviamente sussista il rapporto causale tra l’induzione in errore e gli elementi del profitto e del danno. Poiché, quindi, il soggetto passivo del reato, o persona offesa dal reato, è colui che subisce le conseguenze patrimoniali dell’azione truffaldina, quando non vi sia coincidenza tra tale soggetto e la persona ingannata, la querela proposta solo da quest’ultima è priva di ogni effetto.


Estratto:

«Il ricorso è fondato. La struttura del delitto di truffa non necessariamente presuppone la coincidenza fra il soggetto raggirato ed il soggetto danneggiato. E’ stato rilevato, infatti, che: "L’integrazione del reato di truffa non implica la necessaria identità fra la persona indotta in errore e la persona offesa, e cioè titolare dell’interesse patrimoniale leso, ben potendo la condotta fraudolenta essere indirizzata ad un soggetto diverso dal titolare del patrimonio, sempre che sussista il rapporto causale tra induzione in errore e gli elementi del profitto e del danno" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10085 del 21/02/2008 Ud. (dep. 05/03/2008 ) Rv. 239508). Del resto è scontato che nel reato di truffa il danno deve avere necessariamente un contenuto economico (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 970 del 01/10/1980 Ud. (dep. 30/01/1982 ) Rv. 151921; Sez. 5, Sentenza n. 16304 del 20/09/1989 Ud. (dep. 27/11/1989 ) Rv. 182648).

Di conseguenza, secondo l’insegnamento di questa Corte: "Ciò che rileva ai fini della configurabilità del reato di truffa, dell’individuazione dell’interesse tutelato e conseguentemente del titolare di detto interesse, è la diminuzione patrimoniale, cui corrisponde il conseguimento dell’ingiusto profitto da parte dell’agente, e cioè l’aspetto finalistico e non quello strumentale (induzione in errore) della condotta; pertanto, essendo il soggetto passivo del reato colui che subisce le conseguenze patrimoniali dell’azione truffaldina, la querela proposta dalla persona ingannata, in caso di non coincidenza fra indotto in errore e danneggiato, è priva di ogni effetto" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10259 del 13/07/1993 Ud. (dep. 12/11/1993 ) Rv. 195869)

Nel caso di specie esattamente nel capo di imputazione e nel decreto di citazione è stato indicato come parte lesa il coerede Ma. Sa. , il quale è stato privato della possibilità di incassare la quota a lui spettante dell’indennità di accompagnamento riconosciuta alla madre poiché la Prefettura di Messina, tratta in inganno e per effetto della mendace dichiarazione della Ma. , ha liquidato l’intero importo nelle mani dell’imputata. Tanto premesso, devono considerarsi errate in diritto le conclusioni a cui è pervenuta la Corte territoriale che ha ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’articolo 640 cpv., avendo identificato l’amministrazione pubblica erogante, come destinatane di tanto di un danno "criminale" diretto, quanto di un danno civile (indiretto o eventuale). Ciò perché nel reato di truffa il danno "criminale" deve necessariamente consistere in un danno di natura patrimoniale, che nella fattispecie non si è verificato per l’amministrazione pubblica erogante, neanche sotto il profilo del danno eventuale. L’amministrazione, infatti, avendo erogato l’indennità, conformemente all’autocertificazione prodotta, della quale non era tenuta a verificare la veridicità, non può assumere nessuna responsabilità nei confronti del terzo danneggiato dall’azione truffaldina altrui.».


TRUFFA AGGRAVATA> ARTIFICI E RAGGIRI

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE II PENALE, sentenza n. 20975 del 6/5/2008 - Relatore: Filiberto Pagano - Presidente: Giuseppe Cosentino.


Massima:

In tema di truffa, l’idoneità degli artifici e raggiri in danno di una P.A. non è esclusa dal fatto che siano compiuti all’interno di una fase procedimentale che non si sia ancora conclusa e che implichi il successivo intervento di atti di controllo, perché l’idoneità postula che i comportamenti truffaldini siano astrattamente capaci di trarre in inganno e oggettivamente adeguati all’attivazione del procedimento in vista di un ingiusto vantaggio. (Fattispecie in cui è stato rigettato il ricorso avverso la sentenza di condanna per il tentativo di truffa commesso da un soggetto che aveva preso parte ad una gara, indetta da un’amministrazione comunale per l’affidamento di un incarico di progettazione, producendo falsi titoli professionali).


Estratto:

«Ai fini della sussistenza del delitto tentato, occorre che, sulla base di una valutazione ex ante, gli atti compiuti, anche se meramente preparatori o solo parziali, siano idonei ed univoci, ossia diretti in modo non equivoco a causare l’evento lesivo ovvero a realizzare la fattispecie prevista dalla norma incriminatrice, rivelando così l’intenzione dell’agente di commettere lo specifico delitto. L’idoneità degli atti non è peraltro sinonimo della loro sufficienza causale, bensì esprime l’esigenza che l’atto abbia l’oggettiva attitudine ad inserirsi, quale condizione necessaria, nella sequenza causale ed operativa che conduce alla consumazione del delitto.


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Tanto è stato accertato nella concreta fattispecie con l’indicazione di falsi titoli professionali e "curriculum". Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato in quanto la partecipazione alla fase procedimentale del bando di gara è condotta necessitata per conseguire il profitto costituito dalla eventuale aggiudicazione che da ultimo costituisce l’illecito profitto in quanto conseguito con false rappresentazioni di realtà che inducono in errore la pubblica amministrazione alla conclusione del contratto.

Deve essere rigettato anche il ricorso relativo all’uso di falso sigillo in quanto gli ordini professioni svolgono funzioni pubblicistiche ed esercitano poteri certificativi con il rilascio di atti aventi, come quelli utilizzati dall’imputato, efficacia probatoria di natura pubblicistica (vedi il contenuto degli articoli 357 e 358 c.p.).

Il ricorso relativo alla truffa consumata è infondato alla luce del principio di legittimità che statuisce che il silenzio maliziosamente serbato sulle circostanze che si ha il dovere giuridico di comunicare, non costituisce irrilevante comportamento meramente passivo, bensì condotta che integra un comportamento idoneo a trarre dolosamente in errore perché preordinata a perpetrare l’inganno (Cass. 14.4.78, Salvatori; Cass. 28.7.85, Farina; Cass. 10.11.89, Gagliano, rv. 183709; Cass. 19.4.91, Salvalaio) ».


CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE II PENALE, sentenza n. 26839 del 22/05/2013 - Relatore: Geppino Rago - Presidente: Domenico Gentile.


Massima:

Non è configurabile il reato di truffa, tutte le volte in cui la frode (rectius: gli artifizi o raggiri) incida sulla determinazione di un organo che, esercitando un potere di natura pubblicistica, è tenuto ad accertare una violazione amministrativa, proprio perché manca l’elemento costitutivo del reato ossia l’atto di disposizione patrimoniale di natura privatistica.


Estratto:

«Secondo, poi, il consolidato indirizzo di questa Corte, nel caso in cui il soggetto raggirato sia diverso dal soggetto danneggiato, ai fini della configurabilità del reato, è indispensabile che fra i due sussista un rapporto di rappresentanza legale o negoziale tale per cui il soggetto che subisce il comportamento dell’agente abbia la possibilità di incidere giuridicamente sul patrimonio del rappresentato nel senso che il rappresentante abbia il potere di compiere l’atto di disposizione destinato efficacemente a incidere sul patrimonio del danneggiato per effetto di una libera scelta negoziale: in altri termini, l’induzione in errore ed il conseguente danno non possono derivare da qualsiasi generico rapporto di interferenza fra soggetto raggirato e soggetto danneggiato ma solo da un rapporto qualificato per cui il rappresentante abbia il potere di compiere libere scelte negoziali destinate a ricadere sul patrimonio del danneggiato: ex plurimis Cass. 37409/2001, rv 220307. Infatti, per la configurabilità della truffa occorre che il soggetto passivo compia un atto di disposizione patrimoniale di natura privatistica.


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Applicando i suddetti principi al caso di specie, ne consegue allora che non è configurabile il reato di truffa perché, secondo l’ipotesi accusatoria contenuta nel capo d’imputazione e fatta propria da entrambi i giudici di merito, ad essere stata raggirata sarebbe stata la P.G. nell’ambito di un controllo: il che non è ipotizzabile proprio perché la P.G. non aveva il potere di compiere alcun atto di disposizione destinato ad incidere sul patrimonio del danneggiato (ossia la Provincia di Napoli) per effetto di una libera scelta negoziale atteso che la medesima aveva solo la funzione di accertare la violazione delle sanzioni amministrative».


TRUFFA AGGRAVATA> CONCETTO DI DANNO

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE II PENALE, sentenza n. 10085 del 05/03/2008 - Relatore: Giuseppe Meladiò - Presidente: Aldo Rizzo.


Massima:

Ai fini dell’integrazione della fattispecie criminosa di truffa occorre un effettivo depauperamento economico del soggetto passivo, nella forma del danno emergente o del lucro cessante. (Fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso rilevando che la condotta dell’imputato, il quale aveva abusato della qualità di amministratore di un condominio creando l’apparenza del conferimento dei prescritti poteri autorizzativi, integrava il reato di truffa perché il conseguimento della disponibilità di un fido bancario, con il conseguente incasso della somma di denaro, aveva comportato l’esposizione debitoria dell’amministrazione condominiale, suscettibile di esecuzione e quindi idonea a realizzare l’alterazione dell’equilibrio patrimoniale preesistente).


Estratto:

«Il reale punto problematico nella fattispecie in esame riguarda l’ambito di applicazione della norma incriminatrice, la quale, configurando, secondo l’opinione senz’altro prevalente, un reato non di mero pericolo, ma di danno, richiede un reale depauperamento economico del soggetto passivo, una effettiva deminutio patrimonii, nella forma del danno emergente o del lucro cessante, a carico dello stesso.

Il che vale quanto dire che l’inserzione del requisito del danno comporta una restrizione operativa della fattispecie incriminatrice, sicché’ non è sufficiente la realizzazione della condotta, ma è necessario che essa provochi una lesione effettiva del patrimonio, non essendo il mero disvalore della condotta di per se’ sufficiente a provocare la reazione dell’ordinamento, ove non si realizzino gli eventi di danno previsti.


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Quel che appare decisivo è la necessità di non porre di fatto nell’ombra la collocazione del reato nell’ambito dei delitti contro il patrimonio, con un’inammissibile dilatazione del suo ambito di operatività, in contrasto con il principio di legalità, ma, al tempo stesso, con l’esigenza di individuare un netto discrimine fra la tutela penale e la tutela civile, specie in presenza di un progressivo, ma chiaro intento del legislatore di ridurre e specializzare le fattispecie incriminatici e di potenziare, in termini di qualità ed effettività, le forme della tutela civile del danno ingiusto».
TRUFFA AGGRAVATA> ELEMENTO SOGGETTIVO


CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE II PENALE, sentenza n. 24645 del 21/06/2012 - Relatore: Sergio Beltrani - Presidente: Matilde Cammino.


Massima:

L’elemento soggettivo del delitto di truffa è costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, avente ad oggetto gli elementi costitutivi del reato (quali l’inganno, il profitto, il danno), anche se preveduti dall’agente come conseguenze possibili, anziché certe della propria condotta, e tuttavia accettati nel loro verificarsi, con conseguente assunzione del relativo rischio, il che rende priva di rilevanza la specifica finalità del comportamento o il motivo che ha spinto l’agente a realizzare l’inganno.


Estratto:

«Il ricorrente lamenta genericamente la sussistenza di vizi di motivazione in alcun modo specificati, riproponendo le censure mosse nell’atto di appello senza in alcun modo confrontarsi con la pur sintetica motivazione del giudice d’appello, che delle doglianze difensive ha mostrato di tener conto, superandole; ha, in particolare, incentrato le sue doglianze sul dolo, senza considerare che la sentenza impugnata richiama la non contestazione del fatto da parte dell’appellante (che ne costituisce elemento indubbiamente sintomatico), ed indica in termini adeguati e logici le ragioni per le quali veniva confermata l’affermazione di responsabilità in ordine a tutte le condotte contestate (f. 1 s.).

E, d’altro canto, questa Corte Suprema ha già chiarito che l’elemento soggettivo del delitto di truffa è costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, avente ad oggetto gli elementi costitutivi del reato (quali l’inganno, il profitto, il danno), anche se preveduti dall’agente come conseguenze possibili, anziché certe della propria condotta, e tuttavia accettato nel loro verificarsi, con conseguente assunzione del relativo rischio, il che rende priva di rilevanza la specifica finalità del comportamento o il motivo che ha spinto l’agente a realizzare l’inganno (Cass. pen., sez. 6, 7 novembre 1991 n. 470/1992, Cerciello, rv. 188934)».


TRUFFA AGGRAVATA> TENTATIVO

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE FERIALE PENALE, sentenza n. 32522 del 30/08/2010 - Relatore: Stefania Di Tommasi - Presidente: Secondo Carmenini.


Massima:

Sussiste il tentativo quando la condotta tipica univocamente diretta alla realizzazione dell’evento sia ostacolata da un fatto esterno, che si verifica, come nella specie in tema di truffa, quando vi sia l’allertamento delle forze di polizia da parte della persona offesa a seguire le trattative e ad intervenire per impedire che il delitto si perfezioni o che la realizzazione del profitto si consolidi con l’acquisizione o la possibilità d’uso autonomo del bene oggetto dell’atto di disposizione patrimoniale.


Estratto:

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Sussiste il tentativo invece quando, posta in essere la condotta tipica univocamente diretta alla realizzazione dell’evento, questa sia ostacolata da un fatto esterno, come avviene in caso di truffa (o di estorsione) se la persona offesa, resasi conto dell’intento criminoso, solleciti l’autorità di polizia a seguire le trattative e ad intervenire proprio per impedire che il delitto sia perfezionato o che la realizzazione del profitto si consolidi con l’acquisizione o la possibilità d’uso autonomo del bene oggetto dell’atto di disposizione patrimoniale (nella quale ipotesi può anzi venire in discussione la configurabilità del delitto consumato, non già di quello tentato: cfr. S.U. n. 19 del 1999)».

Autore

Greco, Angelo Mattia

Laureato in giurisprudenza