Natura giuridica del reato di truffa semplice e di truffa aggravata (art. 640 Codice Penale)

Alcuni cenni sulla truffa semplice (art. 640 c.p.)

La trattazione delle problematiche oggetto del presente elaborato non può prescindere da una preventiva e succinta disamina del reato di truffa c.d. semplice, di cui all’art. 640 c.p..

L’art. 640 c.p. apre il capo II del titolo XIII del libro II del codice penale dedicato ai “delitti contro il patrimonio mediante frode”. Nel capo in questione il Legislatore incrimina le diverse tipologie di offese al patrimonio attuate mediante il ricorso alla frode.

Il delitto di truffa è un reato plurioffensivo, lesivo degli interessi alla libera formazione del consenso e all’integrità del patrimonio [1].

Elemento peculiare della truffa – da qui la lesione dell’interesse alla libera formazione del consenso – è la cooperazione artificiosa della vittima. Il truffatore, infatti, aggredisce il patrimonio altrui attraverso un inganno che induce la vittima ad autodanneggiarsi con il compimento di un atto di disposizione patrimoniale [2]. L’azione offensiva – a differenza del caso di furto – non si esaurisce in un’aggressione unilaterale del reo, ma richiede un completamento ad opera del soggetto passivo che coopera, appunto, alla produzione del danno [3].

Il Legislatore descrive in maniera dettagliata l’elemento materiale del reato di truffa, cosicché il reato può essere ricompreso tra le c.d. fattispecie a forma vincolata. Dalla lettera dell’art. 640 c.p. si può ricavare una vera e propria sequenza di elementi che presiede alla configurabilità del reato di truffa: artifici o raggiri; induzione in errore; atto dispositivo; danno patrimoniale e profitto ingiusto.

Il nucleo centrale della condotta incriminata risiede in un’attività diretta a persuadere con l’inganno (“induzione mediante artifizi o raggiri”); questa fraudolenta attività induttiva deve a sua volta determinare – in termini di causalità psicologica – l’errore del soggetto passivo, cui consegue, in ultima analisi, il danno patrimoniale [4].

Individuata nell’attività fraudolenta induttiva il nucleo centrale del reato di truffa, si procede, ora, a definire i concetti di “artifizio” e di “raggiro”.

L’artifizio consiste nel far apparire, mediante la manipolazione o la trasfigurazione della realtà esterna, come vera una situazione che non trova riscontro nelle circostanze e nei fatti esterni. Il raggiro, invece, agisce sulla psiche del soggetto e consiste in una attività simulatrice sostenuta da parole o argomentazioni atte a far cambiare il falso per vero [5].


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Il reato si consuma nel momento in cui si verifica l’effettivo conseguimento dell’ingiusto profitto, con correlativo danno alla persona offesa, e tale momento si verifica all’atto dell’effettiva prestazione del bene economico da parte del raggirato, con susseguente passaggio dello stesso nella sfera di disponibilità dell’agente [10].

Finché non sfocino nell’evento finale, gli artifizi o raggiri idonei ex ante a ingannare la potenziale vittima possono integrare un tentativo di truffa, come tale punibile [11]. Evento finale che, in forza della concezione economica del danno, è da circoscrivere all’effettiva verificazione del pregiudizio economico in capo alla persona offesa.

Con riguardo all’elemento soggettivo, la truffa è un reato a dolo generico [12]. Il profitto dell’agente e il danno della vittima, infatti, non sono semplici scopi cui l’azione criminosa deve tendere, bensì devono trovare attuazione nella realtà esterna; ne consegue che la coscienza e volontà del soggetto attivo deve abbracciare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, dagli artifizi e raggiri all’induzione in errore e all’atto dispositivo della vittima, inclusi il danno e il profitto quali ulteriori conseguenze della condotta ingannatrice [13]. Il dolo è escluso dalla falsa convinzione della giustizia del profitto conseguito, purché questa convinzione non sia il frutto di inescusabile errore di sussunzione del fatto sotto la legge penale.


Le circostanze aggravanti dell’art. 640 c.p.

Il capoverso dell’art. 640 c.p. prevede l’aumento della pena base (reclusione da uno a cinque anni e multa da 309 euro a 1.549 euro) nel caso siano integrate le circostanze indicate ai numeri 1, 2 e 2-bis. Sono tutte circostanze aggravanti oggettive, poiché riguardano le modalità dell’azione o le qualità del soggetto passivo.

La prima circostanza aggravante di cui al n. 1 ricorre «se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico» (c.d. truffa in danno dello Stato). Si tratta di un’aggravante ad effetto speciale, così definita in quanto la legge determina la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato, cioè entro una nuova cornice edittale [14]. La previsione è intesa ad apprestare una tutela rafforzata al patrimonio della p.a., e presuppone che lo Stato (o l’ente pubblico [15]) assuma le vesti del soggetto passivo direttamente danneggiato dal fatto costituente reato; a nulla rileva, invece, l’identità del destinatario diretto della condotta d’inganno.

La seconda aggravante di cui al n.1 ricorre qualora il fatto sia commesso «con il pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare». Deve trattarsi di un mero pretesto: l’agente non deve aver fatto nulla per ottenere l’esonero, totale o temporaneo, altrimenti troverà applicazione la normativa speciale sugli illegittimi esoneri dal servizio militare o, in caso di accordo col pubblico ufficiale, il delitto di corruzione. Ad ogni buon conto, la circostanza de qua, caratterizzatasi da sempre per la sua scarsa applicazione, è divenuta addirittura anacronistica una volta venuto meno l’obbligo della leva militare, ai sensi dell’art. 7, D.Lgs. 8.5.2001, n. 215. Tuttavia la sua perdurante attualità si potrebbe affermare nel caso in cui si ritenga che l’esonero riguardi anche un servizio volontario e, quindi, il caso di fine anticipata della ferma volontaria.

Il numero 2 del comma 2 dell’art. 640 c.p., a sua volta, prevede due distinte circostanze aggravanti. La prima ricorre nei casi in cui «il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario». L’aggravante in questione ruota intorno al concetto di pericolo immaginario, usualmente inteso come sinonimo di inesistente magari riferito a forze sovrannaturali e occulte, o a credenze superstiziose. Gli artifizi e raggiri, dunque, devono essere tali da trarre in errore la vittima mediante la falsa rappresentazione di un pericolo inesistente. Infatti la ratio dell’aggravante in oggetto si ritiene risieda nella natura particolarmente insidiosa de facto di chi fa percepire all’offeso un timore di un pericolo che non sussiste, specie perché il più delle volte costui versa in una situazione psicologica più debole rispetto all’agente.

La seconda aggravante (sempre del n. 2) ricorre nei casi in cui «il fatto sia commesso ingenerando nella persona offesa l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità». Si pone la necessità di operare una distinzione rispetto al reato di estorsione. Nella circostanza aggravante in oggetto, l’ordine dell’Autorità non è prospettato come dipendente dalla volontà o dal fatto dell’agente e, perciò, rimane in capo al soggetto passivo l’illusione di agire liberamente, pur se la sua conoscenza è in realtà viziata dall’errore nel quale è stato indotto. Lo stesso criterio varrà a distinguere la truffa aggravata dalla concussione, nel caso in cui l’agente sia un pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio.

Infine, il numero 2-bis, introdotto con art. 3, 28° co., L. 15.7.2009, n. 94, ha previsto che la aggravante comune della c.d. minorata difesa – ossia l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo e di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa (art. 61, n. 5 c.p.) – costituisca un’aggravante speciale e ad effetto speciale del delitto di truffa, così determinando un inasprimento della risposta sanzionatoria collegata alla sua sussistenza, anche dal punto di vista della applicabilità della disciplina dettata, in caso di concorso di circostanze, dall’art. 63, co. 3 e 4. La ratio di tale scelta normativa è da cogliere nella volontà legislativa di rafforzare la tutela dei soggetti più deboli, stante anche il gran numero di truffe perpetrate a danno di soggetti anziani.


La natura giuridica della fattispecie di cui all’art. 640-bis c.p.

L’art. 640-bis c.p., rubricato “truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche”, è stato inserito dall’art. 22 della Legge 19 marzo 1990, n. 55 (“Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale”) e prevede che «la pena è della reclusione da uno a sei anni e si procede d’ufficio se il fatto di cui all’articolo 640 riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee».

La novella legislativa fu la risposta alla diffusa preoccupazione – segnalata in ambienti giudiziari e accademici – circa l’insufficienza delle fattispecie incriminatrici comuni (mendacio bancario ex art. 95 l. n. 141/1938, falso in bilancio, ricorso abusivo al credito ex art. 218 l. fall. e la truffa di cui all’art. 640 c.p.) a far fronte all’ampliarsi del fenomeno della captazione fraudolenta di sovvenzioni pubbliche, nazionali e comunitarie [16].


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Per avere una visione di insieme, è utile ricordare come, quasi in concomitanza con la Legge n. 55/1990 introduttiva dell’art. 640-bis c.p., il Legislatore con la Legge 26 aprile 1990, n. 86 ha introdotto una nuova fattispecie delittuosa nel codice penale: la malversazione ai danni dello Stato (art. 316-bis c.p.). Il Legislatore italiano del 1990 ha voluto in tal modo (con l’aggiunta dei nuovi articoli 640-bis e 316-bis c.p.) offrire una tutela penale agli interessi finanziari dello Stato e della Comunità Europea, incriminando sia la fraudolenta captazione sia la indebita utilizzazione delle sovvenzioni e dei contributi erogati in attuazione della politica economica comunitaria e nazionale. E ciò, al fine di adempiere agli impegni che gli derivavano dai trattati europei (art. 5 e art. 280 del Trattato di Roma, così come modificato dal Trattato di Amsterdam), e per rispondere alle pressioni dei partners comunitari, preoccupati dal dilagare delle frodi nella predetta materia e dal coinvolgimento crescente in questa pratica della criminalità organizzata.

Molto si è discusso sulla natura della fattispecie di cui all’art. 640-bis c.p.: se si tratti, cioè, di una circostanza aggravante della truffa, oppure di fattispecie autonoma di reato.

La questione ha una notevole rilevanza pratica. Configurare, infatti, in termini di reato autonomo o di circostanza aggravante la fattispecie dell’art. 640-bis c.p. rileva, soprattutto, in ordine alla esperibilità – o meno – del giudizio di bilanciamento che, ai sensi dell’art. 69 c.p., può essere effettuato in caso di concorso tra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti [17]. Una volta qualificata la fattispecie de qua come circostanza aggravante, la sua applicazione dà luogo a un concorso di circostanze aggravanti, disciplinato dall’art. 68 c. p., con l’assorbimento della circostanza generale dell’art. 640 cpv. n. 1 nella circostanza speciale di cui all’art. 640-bis (è la circostanza c.d. complessa, che l’art. 68 c.p. disciplina facendo espressamente salva l’applicabilità del principio di specialità di cui all’art. 15 preleggi). La distinzione ha anche rilievo, seppure meno importante, agli effetti del concorso di persone nel reato, applicandosi gli artt. 116 e 117 ovvero l’art. 118 c. p., a seconda che si adotti una o l’altra opzione.

In favore di una configurabilità in termini di circostanza aggravante milita, in primis, la rubrica dell’articolo 640-bis c.p. (“truffa aggravata…”) e, in secundis, il richiamo esplicito operato dallo stesso articolo al fatto descritto dall’art. 640 c.p.. Proseguendo secondo questa impostazione, la fattispecie della truffa aggravata è costituita dagli stessi requisiti della truffa (identità della struttura della condotta e dell’evento), fatta salva la specialità inerente all’oggetto della frode: «contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazione dello stesso tipo».

Per una configurazione, invece, in termini di fattispecie autonoma di reato vengono addotti i seguenti elementi: la collocazione della presunta circostanza fuori dal luogo “naturale” della aggravanti di truffa (il capoverso dell’art. 640 c.p.); l’autonomia assoluta dell’entità della sanzione rispetto a quelle previste anche per le ipotesi aggravate; l’inutile (nel caso fosse, appunto, una circostanza aggravante) previsione esplicita della procedibilità d’ufficio, sulla base del contenuto dell’ultimo comma dell’art. 640 c.p.; l’inconciliabilità con la lettera dell’art. 6 D.L. n. 152/1991, secondo questa norma se il fatto è commesso da soggetto sottoposto a misura di prevenzione, la pena «per il reato di cui all’art. 640-bis c.p.» è aggravata (è discutibile che si possa configurare l’aggravante di un’aggravante).

In giurisprudenza si è definitivamente affermata e consolidata la natura di circostante aggravante della fattispecie prevista dall’art. 640-bis c.p.. Determinante sul punto è stato l’intervento, con sentenza del 10 luglio 2002, n. 26351, delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Il quesito posto all’attenzione del Supremo Consesso era il seguente: «se l’art. 640-bis cod. pen. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) preveda una figura autonoma di reato ovvero una circostanza aggravante del reato di truffa».


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E’ proprio la struttura della fattispecie penale di cui all’art. 640-bis, definita da un lato attraverso il richiamo degli elementi essenziali del delitto di truffa di cui all’art. 640 (artifici o raggiri, induzione in errore con conseguente disposizione patrimoniale, ingiusto profitto per l’agente o per altri, danno del soggetto passivo) e dall’altro con l’introduzione di un elemento specifico (erogazioni pubbliche) che è estraneo alla struttura essenziale della truffa, a denotare la inequivoca volontà legislativa di configurare una circostanza aggravante e non un diverso titolo di reato. La descrizione della fattispecie, insomma, non immuta gli elementi essenziali del delitto di truffa, né quelli materiali né quelli psicologici, ma introduce soltanto un oggetto materiale specifico – tradizionalmente qualificato come accidentale e cioè circostanziale – laddove prevede che la condotta truffaldina dell’agente e la disposizione patrimoniale dell’ente pubblico riguardino contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo.

Tra reato-base e reato circostanziato intercorre quindi un rapporto di specialità unilaterale, per specificazione o per aggiunta, nel senso che il secondo include tutti gli elementi essenziali del primo con la specificazione o l’aggiunta di elementi circostanziali».

In definitiva, con la pronuncia in esame le S.U. hanno risolto il contrasto sorto nella giurisprudenza di legittimità (a favore del riconoscimento della natura circostanziale della fattispecie in oggetto) mettendo l’accento, pur tenendo fermi i requisiti strutturali di cui all’art. 640 c.p., sul c.d. oggetto materiale specifico della fattispecie descritta dall’art. 640-bis c.p.: «contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo» [21].

Intendendosi, con quest’ultima espressione, ogni tipo di erogazione a carattere pecuniario, consistente in: contributi, cioè erogazioni a fondo perduto; finanziamenti, cioè concessioni di credito, normalmente con l’obbligo di destinazione delle somme percepite, comunque caratterizzati dall’obbligo di restituzione e regolati da condizioni finanziarie agevolate; altre erogazioni dello stesso tipo, cioè ogni altra forma di sussidio, variamente denominato ma comunque agevolato [22].

Autore

Greco, Angelo Mattia

Laureato in giurisprudenza