Interventi edilizi e titoli abilitativi

Gli interventi edilizi ed urbanistici

Interventi di manutenzione straordinaria

Ai sensi dell’art. 3, co. 1 lett. b) T.U., con l’espressione interventi di manutenzione straordinaria si intendono "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso".

Gli interventi in questione sono assoggettati a s.c.i.a.

Ove vengano realizzati in assenza di questa, è prevista l’applicazione della sola sanzione amministrativa di cui all’.art 37, co. 6 T.U., ai sensi del quale "la mancata denuncia di inizio dell’attività non comporta l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 44".

La condotta in violazione delle prescrizioni di legge è, quindi, priva di disvalore penale.

Gli interventi in esame sono finalizzati alla conservazione del bene ed incidono direttamente sulle parti strutturali dell’edificio, anche sostituendole o rinnovandole.

Ne discende che essi presuppongono un edificio già ultimato e funzionante, del quale si intende conservare o rinnovare la funzionalità. Deve, quindi, trattarsi di mero recupero del patrimonio edilizio esistente [1].

Come rilevato dalla recente giurisprudenza di legittimità [2], affinché possa qualificarsi come di manutenzione straordinaria, l’intervento incontra due limiti: uno di ordine funzionale, e uno di ordine strutturale. Essi consistono, rispettivamente, nella necessità che i lavori siano rivolti alla mera sostituzione o al rinnovo di parti dell’edificio; e nel divieto di alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari o di mutarne la destinazione. In ogni caso, gli interventi devono essere effettuati nel rispetto degli elementi tipologici, strutturali e formali nella loro originaria edificazione.

È nel secondo limite che risiede il discrimine tra interventi di manutenzione straordinaria e di ristrutturazione edilizia. Questi ultimi, difatti, non sono vincolati al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio esistente [3].

Per l’esatta delimitazione della portata della previsione di cui all’art. 3, co. 6, lett. c) T.U., soccorre l’art. 1005 c.c., che contiene un’elencazione, tutt’altro che tassativa, degli interventi di riparazione straordinaria. Secondo la previsione in parola, con essi si intendono quelli necessari "ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero e per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta".

Conformemente alle considerazioni suesposte, sono stati individuati in via giurisprudenziale una serie di interventi che rientrano certamente nella categoria in esame.

In particolare, si fa riferimento a quelli di:
  • sostituzione di infissi esterni e serramenti, persiane o serrande, con modifica del materiale o della tipologia d’infisso;

  • realizzazione ed integrazione di servizi igienico-sanitari, senza alterazione dei volumi e delle superfici;

  • realizzazione di chiusure o aperture interne che non comportino la modifica dello schema distributivo delle unità immobiliari dell’edificio;

  • rifacimento di scale e rampe;

  • sostituzione di solai in struttura lignea di un fatiscente edificio rustico con altro in cemento armato, sempre che non si alterino superficie e volumi dell’unità immobiliare;

  • sostituzione di tramezzi interni, senza alterazione della tipologia di unità immobiliare;

  • realizzazione di elementi di sostegno di singole parti strutturali;

  • interventi di risparmio energetico;

  • rifacimento di intonaci o coloriture esterne;

  • rifacimento di pavimenti o rivestimenti interni ed esterni;

  • consolidamento delle strutture di fondazione o di elevazione;

  • costruzione di vespai o scannafossi, anche con rialzamento del piano-pavimento;

  • demolizione di tramezzi e costruzione di scale, qualora interessino l’interno del fabbricato e non modifichino l’originaria volumetria dell’immobile, né la sua destinazione d’uso.


Al contrario, ne restano esclusi, a titolo esemplificativo, gli interventi di:
  • ricostruzione del tetto con una diversa pendenza e con un’altezza superiore a quella preesistente, come tale incidente sulla volumetria dell’immobile;

  • sopraelevazione di un edificio;

  • apertura di balconi o di finestre nel muro esterno di un edificio;

  • realizzazione di una tettoia di copertura di un terrazzo di una abitazione;

  • ricostruzione o ristrutturazione di una vecchia terrazza abusiva, anche non modificativa della sagome o del volume esistenti, ma comunque relativa ad un immobile illegittimamente costruito;

  • realizzazione di locali tipo mansarda, mediante sopraelevazione del tetto e suddivisione delle falde rialzate con muro;

  • trasformazione di un balcone in veranda, con copertura dei pannelli di vetro su intelaiatura metallica [4].


In ogni caso, gli interventi di manutenzione straordinaria, come quelli relativi a opere interne, di ristrutturazione edilizia, o di risanamento conservativo, sono assoggettati al permesso di costruire ogni qual volta mutino la destinazione d’uso tra categorie di interventi funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistici e, ove debbano essere realizzati nei centri storici, anche nel caso in cui comportino cambiamento della destinazione d’uso. Diversamente, ove gli stessi debbano essere realizzati fuori dei centri storici e comportino mutamento della destinazione d’uso all’interno di una categoria omogenea, necessitano, invece, della semplice s.c.i.a [5].

Infine, la Suprema Corte ha recentemente ribadito l’esclusione [Omissis - versione integrale presente nel testo].


Interventi di restauro e risanamento conservativo

Ai sensi dell’art. 3, co. 1 lett. c) T.U., gli interventi di restauro e risanamento conservativo sono quelli "rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurare la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, consentano destinazioni d’uso con esso compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio".

L’intervento di restauro e risanamento conservativo è un quid pluris rispetto alla manutenzione straordinaria, perché non ha una mera finalità conservativa, ma è teso ad una vera e propria riqualificazione dell’immobile, attraverso l’eliminazione delle carenze strutturali e funzionali che si manifestano in ragione della perdita delle originarie caratteristiche di funzionalità e di sicurezza dell’edificio [7].

La finalità della norma succitata è duplice: da un lato, col restauro, si intende valorizzare le caratteristiche storiche, artistiche e ed architettoniche dell’edificio; dall’altro, con il risanamento, si tende al miglioramento delle esigenze d’uso del bene stesso.

Analogamente agli interventi di ristrutturazione straordinaria, anche quelli in esame devono necessariamente riguardare un edificio già ultimato e funzionante, del quale si intende conservare o rinnovare la funzionalità. Devono, quindi, avere ad oggetto un fabbricato preesistente, ma non del tutto demolito, versandosi in tale seconda ipotesi nella categoria della ristrutturazione edilizia [8].

Inoltre, a differenza della ristrutturazione, che può comportare interventi di inserimento di nuovi elementi ed impianti, la categoria degli interventi di restauro e risanamento si limita a consentire l’inserimento di elementi accessori e di impianti richiesti dalle esigenze d’uso.

Al riguardo, la Suprema Corte ha specificato che "la ristrutturazione edilizia (non vincolata al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio esistente) differisce dal restauro e risanamento conservativo (che non può modificare in modo sostanziale l’assetto edilizio preesistente e consente soltanto variazioni d’uso “compatibili” con l’edificio conservato). La stessa attività di ristrutturazione, del resto, può attuarsi attraverso una serie di interventi che, singolarmente considerati, ben potrebbero ricondursi ad altri tipi di interventi: l’elemento caratterizzante, però, è la connessione finalistica delle opere eseguite, che non devono essere riguardate partitamente, ma valutate nel loro complesso al fine di individuare se esse siano o meno rivolte al recupero edilizio dello spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo" [9].

Quanto al titolo abilitativo richiesto, gli interventi di restauro e risanamento conservativo sono subordinati a semplice s.c.i.a. e, quindi, restano assoggettati alla sola sanzione amministrativa di cui all’art 37, co. 6, T.U., essendo privi di disvalore penale [10].

A titolo esemplificativo, tra essi vi rientrano le attività di:
  • modifica tipologica delle singole unità immobiliari per una più funzionale distribuzione;

  • innovazione delle strutture verticali ed orizzontali;

  • ripristino dell’aspetto storico-architettonico di un edificio, anche tramite la demolizione di superfetazioni,

  • adeguamento delle altezze dei solai, nel rispetto delle volumetrie esistenti;

  • realizzazione di un secondo bagno;

  • modifica delle disposizioni di finestre e portoni;

  • creazione di una pluralità di appartamenti nel medesimo complesso edilizio;

  • rinnovazione parziale dei muri perimetrali di un edificio, con sostituzione delle pareti perimetrali in eternit con muri perimetrali di cemento;

  • rifacimento del tetto senza modificazione della superficie, della volumetria e della destinazione del manufatto originario;

  • costruzione di una fioriera con banco di lavoro, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo e della destinazione d’uso;

  • esiguo aumento della superficie utile necessario per la migliore sistemazione dei servizi igienici;

  • rinnovo di alcuni elementi costitutivi di un edificio e ampliamento dello stesso mediante unificazione con un’attigua unità immobiliare dello stesso proprietario;

  • realizzazione di un bagno pensile di 2,5 mq, una finestra ed una canna fumaria, durante il restauro di un fabbricato preesistente [11].


È stato chiarito, invece, che gli interventi di restauro e risanamento conservativo, al pari di quelli di ristrutturazione edilizia e di manutenzione straordinaria, richiedono il permesso di costruire ogni qual volta determinino un mutamento di destinazione d’uso tra categorie di interventi funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e, ove debbano essere effettuati in centri storici, anche nel caso in cui determinino un mutamento di destinazione d’uso all’interno di una categoria omogenea [12].

Ne consegue che è da considerarsi estranea alla categoria in esame, ad esempio, la trasformazione di un sottotetto in mansarda, comportando essa un mutamento della destinazione d’uso dell’immobile, quando questa comporti un aumento, anche modesto, del volume dell’unità abitativa.

A tal proposito, la Corte di Cassazione ha specificato la nozione di volume tecnico, facendovi rientrare solo i volumi adibiti alla sistemazione di impianti aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione e che non possono essere ubicati all’interno della parte abitativa.

Secondo il giudice di legittimità [13], occorre, al riguardo, tener conto di tre parametri. Il primo, di ordine funzionale, riguarda il rapporto di strumentalità tra il manufatto e la struttura cui si connette; il secondo, attiene all’impraticabilità di soluzioni progettuali diverse; il terzo, alla proporzionalità tra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti.

Pertanto, rientrano nella nozione di volumi tecnici [Omissis - versione integrale presente nel testo].


Demolizione, scavi e reinterri

L’intervento di demolizione non trova una propria definizione nelle norme attuali. Si può descrivere come opposto della costruzione, e consiste nell’abbattere gradualmente edifici o altre strutture.

La demolizione di opere riguarda lo "smontaggio di impianti industriali e la demolizione completa di edifici con attrezzature speciali ovvero con uso di esplosivi, il taglio di strutture in cemento armato e le demolizioni in genere, compresa la raccolta dei materiali di risulta, la loro separazione e l’eventuale riciclaggio nell’industria dei componenti" [15].

Questo intervento è annoverato tra le diverse tipologie di opere o dei lavori insieme alla costruzione, al recupero, alla ristrutturazione, al restauro, alla manutenzione, al completamento e alle attività ad essi assimilabili, e rientra anche tra quelli di ristrutturazione edilizia nel caso siano previsti interventi di demolizione e successiva ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quella esistente.

Sotto il vigore della previgente disciplina di cui alla L. 94/1982, il regime giuridico degli interventi edilizi aventi ad oggetto la sola demolizione, senza ricostruzione, ha subito una profonda modifica, così come la disciplina delle pertinenze, degli interventi di manutenzione straordinaria, degli scavi e dei reinterri.

L’art. 7, lett. c), della legge succitata, abrogato dall’art. 136 T.U., infatti, prevedeva l’autorizzazione gratuita per le opere di demolizione, i reinterri e gli scavi, che non riguardassero la coltivazione di cave e torbiere, purché conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti, e non sottoposte ai vincoli previsti dalla L. 1089/39 e dalla L. 1498/39.

Dalla disciplina vigente, invece, si evince che la mera demolizione, senza ricostruzione, può essere realizzata mediante semplice s.c.i.a, salvo che non sia specificamente vietata dagli strumenti urbanistici o dalla relativa normativa.

Già dopo l’entrata in vigore della L. 94/1982, l’orientamento giurisprudenziale prevalente è stato concorde nell’escludere che l’esecuzione di interventi di demolizione in assenza dell’autorizzazione medesima potesse configurare un’ipotesi di reato.

Di recente, la Suprema Corte si è espressa ancora in tal senso. Ha chiaramente ribadito, infatti, che "la semplice demolizione di un manufatto non integra il reato di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 1, lett. b), in quanto per tale tipo di intervento è sufficiente la denuncia di inizio attività, la cui mancanza costituisce illecito amministrativo" [16].

Il carattere di reità è stato escluso anche per il caso in cui un soggetto munito di titolo abilitativo per procedere alla ristrutturazione di un fabbricato, "abbia demolito l’intero immobile con l’intento di una totale ricostruzione e l’illecito si sia esaurito nel solo fatto della demolizione senza ulteriore attività edilizia", sempre che la demolizione non sia avvenuta in contrasto con le prescrizioni urbanistiche vigenti e con i vincoli previsti in materia di beni culturali e ambientali [17].

Quanto, infine, al rapporto tra demolizione dell’opera abusiva ed estinzione del reato, il prevalente orientamento giurisprudenziale è costante nel senso di escludere che tale intervento comportasse addirittura l’estinzione del reato.

Il comportamento in questione potrà, al più, rilevare ai fini della determinazione della pena, della mancanza di un danno penalmente rilevante e della buona fede dell’imputato [18].

Analoghe considerazioni, sia sotto il profilo del titolo abilitativo richiesto, che delle conseguenze della sua violazione, possono essere svolte per i lavori di scavo che non riguardino cave o torbiere.

Anche per questi, infatti, è prevista la semplice s.c.i.a., con applicazione della mera sanzione amministrativa nell’ipotesi di sua mancanza.

Occorre, tuttavia, effettuare un distinguo: non tutti gli scavi sono indistintamente soggetti a s.c.i.a.. Difatti, quelli diretti ad evidenti finalità edilizia richiedono, piuttosto, il permesso di costruire. Ne consegue che rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 44 T.U., tutte quelle attività di scavo non assentite da permesso di costruire, che siano dirette alla realizzazione di infrastrutture, di impianti, o di deposito di merci e di materiali, che comportino la trasformazione permanente del suolo inedificato, incidendo sul tessuto urbanistico del territorio [19].

Inoltre, restano in ogni caso ferme le sanzioni penali per le ipotesi di intervento di scavo che, a prescindere dalla s.c.i.a., siano comunque in contrasto con le prescrizioni di legge, di regolamenti edilizi, di strumenti urbanistici generali, e coi vincoli storico-artistici o paesaggistico-ambientali sul territorio.

In questi casi, infatti, gli interventi sono soggetti a permesso di costruire, la cui mancanza comporta l’applicazione di sanzioni penali.

Restano, ad esempio, esclusi dalla semplice s.c.i.a. gli interventi di realizzazione di una fossa di rilevanti dimensioni destinata a liquami di una porcilaia; oppure, quelli di scavo per eseguire le fondazioni di un fabbricato.

Infine, quanto ai reinterri, con tale espressione si fa riferimento ai lavori diretti al riempimento di una cavità o di una depressione del suolo, oppure di uno scavo preesistente.

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