Risarcimento del danno da occupazione illegittima: valore integrale del fondo e tassazione degli importi

Ancora sul valore integrale del fondo e delle sue utilità: un altro fronte di possibile contrasto fra diritto vivente interno e giurisprudenza CEDU

Sempre in questa prospettiva di piena tutela del proprietario ingiustamente colpito da una condotta acquisitiva va esaminato l’indirizzo giurisprudenziale interno che esclude di poter risarcire il proprietario – o il terzo che si trova nel godimento del bene illecitamente acquisito – per il pregiudizio ulteriore patito per la perdita della proprietà ove veniva svolta un’attività commerciale, non potendo il risarcimento in nessun caso essere superiore al controvalore del bene espropriato.

In particolare il giudice di legittimità, chiamato a stabilire se il proprietario di un bene destinato a capannone industriale interessato da un’occupazione acquisitiva potesse pretendere - in proprio o quale soggetto che aveva costituito sul bene rapporti obbligatori in favore di terzi - in aggiunta al valore del bene - determinato secondo i criteri legali di cui al comma 7-bis dell’art. 5-bis l. n. 359/1992 - anche il pregiudizio sofferto per non potere ulteriormente svolgere l’attività imprenditoriale da parte di un terzo che ivi operava legittimamente - deposito e commercio esplosivi - ha disatteso tale richiesta, ricordando la giurisprudenza resa a proposito di analoghe pretese azionate in caso di legittima definizione del procedimento ablatorio, dalle quali emergeva incontrovertibilmente che il proprietario espropriato null’altro può pretendere se non l’indennizzo che tiene luogo del bene ablato - Cass. 21351/2004 -.

Ed alla possibile obiezione che siffatto indirizzo giurisprudenziale riguardava soltanto le ipotesi di ablazione legittima del bene, i giudici di legittimità hanno risposto osservando che medesime conclusioni dovevano valere per i casi di occupazione espropriativa « poiché tale istituto non presente alcun tratto comune con l’occupazione abusiva » ed invece « appartiene alla materia delle espropriazioni per p.u. considerate dall’art. 42 Cost. ».

Il che ha come conseguenza anche quella di dovere applicare « tutte le disposizioni aventi portata e caratteri generali della legge fondamentale sulle espropriazioni del 1865, fra cui quelli di cui agli artt. 39 e 40 sulla liquidazione dell’indennità per l’ipotesi di esproprio parziale ».

Da qui l’affermazione che « anche il deprezzamento della zona residuata dopo un’occupazione espropriativa irreversibile ad opera della p.a., deve essere calcolato in termini di diminuzione del controvalore dell’intero bene in conseguenza dell’ablazione sia pure illegittima; senza spazio per la risarcibilità di ulteriori seppur distinti danni risentiti dal privato in relazione al medesimo fatto ablativo ».

Ma la Cassazione non si ferma a tale conclusione, aggiungendone un’altra, non meno ricca di significato: « … in definitiva, la sola differenza tra il procedimento regolarmente concluso dal decreto ablativo e quella in cui l’espropriazione avvenga per effetto di occupazione c.d. acquisitiva riguarda non le posizioni dei terzi, comunque estranei all’espropriazione per p.u., ma l’illegittimo sacrificio del diritto dominicale dell’espropriato per l’anomala acquisizione del bene da parte della p.a. e si manifesta, quindi, esclusivamente nella quantificazione del suo credito nei confronti dell’espropriante, pur esso derivante dal precetto contenuto nell’art. 42 3º comma Cost. », epperò attuato tramite una misura risarcitoria. Solo in tali limitati ambiti, secondo Cass. n. 21351/04, si può quindi giustificare il richiamo allo schema dell’illecito aquiliano.

La conseguenza indicata dal giudice di legittimità è stata dunque duplice essendosi, per un verso, esclusa la legittimazione attiva a pretese risarcitorie superiori al controvalore del bene espropriato da parte di soggetti diversi dal proprietario espropriato e, per altro verso, ammessa l’applicazione dell’art. 40 l. fond. espr. anche in ipotesi di occupazione espropriativa al fine di valutare la diminuzione della parte residua.

Orbene, la decisione appena ricordata dimostra l’intenzione del giudice di legittimità di ricominciare un percorso volto alla modifica delle coordinate dell’istituto dell’occupazione appropriativa, ormai inserite fra le ipotesi ablative non usuali epperò legittimato dall’art. 42 comma 3 Cost. Il che sembra andare in netto contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo.

La sentenza Carbonara e Ventura resa nel dicembre 2003 cit., infatti, nel quantificare l’equa soddisfazione spettante ai proprietari, in un ottica protesa ad eliminare completamente le conseguenze pregiudizievoli sofferte per effetto della condotta manipolativa della p.a., aveva espressamente considerato la valutazione del bene non al momento dell’occupazione ma a quello del valore attuale del terreno aumentato del plusvalore apportato dall’esistenza dell’edificio.

Con ciò dimostrando, ancora una volta, che se l’occupazione appropriativa dovesse ritenersi il frutto di una violazione dei diritti umani, non potrebbe poi giustificarsi il richiamo di principi valevoli per il solo procedimento ablatorio, dovendosi piuttosto risarcire tutti i pregiudizi patiti secondo le regole generali.

Ma quel che più rileva ai fini del contrasto è che secondo la giurisprudenza della Corte europea il diritto di proprietà colpito da un atto ablatorio impone il riconoscimento di un indennizzo teso a coprire il pregiudizio sofferto per avere perso lo strumento di lavoro , esercitando il proprietario un’attività imprenditoriale e non sussistendo nella zona terreni idonei a sostituire i terreni espropriati - Corte dir. uomo 11 aprile 2002, Lallement c.Francia -.

Si tratta, a ben considerare, di una presa di posizione volta a considerare non solo il bene come valore di mercato, ma come strumento che offre delle utilità al suo proprietario e che, venendo meno, richiede un adeguato ristoro. Prospettiva che, a ben considerare, non sembra albergare né nel campo del procedimento ablatorio né, si è visto, in quello dell’illecito da occupazione acquisitiva, rispetto al quale, dunque, i problemi di compatibilità si aggravano notevolmente.

In questa prospettiva v’è in ogni caso da chiarire che un revirement giurisprudenziale – almeno rispetto all’occupazione acquisitiva - non dovrebbe né potrebbe passare, a parere di chi scrive, attraverso una declaratoria di incostituzionalità, potendo e dovendo fondarsi sull’immediata efficacia della giurisprudenza CEDU nell’ordinamento interno e nell’obbligo di interpretazione conforme cui è tenuto il giudice domestico alla stregua delle indicazioni fornite da Corte cost. nn.348 e 349/2007.


Il fronte fiscale: Il sistema della tassazione degli importi corrisposti a titolo di indennità di esproprio e di occupazione acquisitiva(a proposito di Corte dir.uomo 30 agosto 2007, Di Belmonte c.Italia-r.n.72665/01-)

Occorre ora brevemente esaminare il sistema della tassazione previsto per i corrispettivi corrisposti a titolo di indennità di esproprio e di occupazione acquisitiva previsto dall’art.11 c.5 ss. l.n.413/1991 [1], per la quale era stata specificamente prevista un’operatività retroattiva - il nono comma del cit. art. 11 prevede che le disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 7 si applicano anche alle somme percepite in conseguenza di atti volontari o provvedimenti emessi successivamente al 31 dicembre 1988 e fino alla data di entrata in vigore della presente legge -.

Mette conto preliminarmente ricordare che il comma 7 dell’art. 11 della legge 413/1991, dispone che « Gli enti eroganti, all’atto della corresponsione delle somme di cui ai commi 5 e 6, comprese le somme per occupazione temporanea, risarcimento danni da occupazione acquisitiva, rivalutazione ed interessi, devono operare una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 20 per cento. È facoltà del contribuente optare, in sede di dichiarazione annuale dei redditi, per la tassazione ordinaria, nel qual caso la ritenuta si considera effettuata a titolo di acconto ». Tenuti al pagamento di tale importo sono soltanto i soggetti che non esercitano imprese commerciali.

Quindi, il contribuente può scegliere tra la ritenuta “secca” del 20% operata sulla intera somma erogata, e la tassazione ordinaria, che determina l’ammontare dell’imposta dovuta tenendo conto della sola plusvalenza, unitamente alle altre componenti reddituali.

La facoltà di scelta è lasciata esclusivamente ai contribuente, che potrà utilizzarla in ragione della propria convenienza, senza che nulla possa eccepire l’amministrazione finanziaria. Ne deriva che se il contribuente non chiede di optare per la tassazione ordinaria, vuol dire che la tassazione “secca” realizza un prelievo fiscale inferiore a quello che risulterebbe rispettando il principio della tassazione in base alla capacità contributiva. Con l’ulteriore conseguenza che, se il prelievo fiscale attuato con il metodo della ritenuta “secca” è al di sotto dell’ammontare del prelievo che risulterebbe dovuto tassando soltanto la plusvalenza verrebbero meno le ragioni per sostenere che il prelievo abbia “eroso” una parte del patrimonio.

La ratio del sistema è quindi nel senso che il legislatore si accontenta di “un minimo garantito”, piuttosto che pretendere la tassazione secondo le forme ordinarie, privilegiando la scelta della rapidità e della certezza del prelievo, piuttosto che pretendere “tutto quanto dovuto”, a beneficio del contribuente.

Peraltro, la Corte Costituzionale ha già rilevato come « la facoltà dei contribuente di optare per la tassazione ordinaria gli consente di dimostrare la non configurabilità di fatto, di una plusvalenza da espropri » (Corte Cost. Ord. 395/2002)- cfr.Cass. 8 febbraio 2005 n. 2490 -.

È poi il comma 9 a chiarire che la tassazione opera anche per le somme percepite prima dell’entrata in vigore della legge ma in conseguenza di atti emessi successivamente al 31.12.1988-semprechè l’incremento di valore non è stato assoggettato all’imposta comunale sull’incremento di valori degli immobili-. Retroattività parziale ed attenuata ritenuta legittima da Corte cost. n.315/1994.

V’è ancora da aggiungere che secondo il giudice delle leggi l’imposizione è da ritenere costituzionalmente legittima in ragione del « l’oggettiva lievitazione del prezzo dei suoli derivante non da un’attività produttiva del proprietario, ma dalla destinazione edificatoria in sede di programmazione urbanistica (sentenze nn. 533 del 1995 e 171 del 2000, ordinanza n. 109 del 2002) “- Corte cost. n.395/2002-.

Tale affermazione si collega e completa con l’altra, volta ad escludere profili di contrasto della disciplina in esame con l’art.42 Cost., allorché si afferma che “- riguardo alla prospettata violazione dell’art. 42 (con riferimento all’art. 53) Cost., per il preteso effetto doppiamente espropriativo della tassazione dell’indennizzo - il parametro costituzionale non è correttamente richiamato, poiché occorre distinguere gli aspetti fiscali da quelli sostanziali-indennitari, con rigorosa delimitazione dei rispettivi ambiti di riferimento, nel senso che la questione circa la congruità dell’indennizzo è estranea all’area di operatività dell’art. 53 Cost. (sentenze nn. 283 del 1993 e 148 del 1999) e, all’inverso, quando sia censurata una misura fiscale alla stregua di provvedimento ablatorio, la denuncia di incostituzionalità è disattesa ove sia rinvenibile una giustificazione economica alla specifica imposizione, indipendentemente dall’incidenza sul patrimonio del soggetto passivo, purché sussista il collegamento oggettivo del tributo ad un concreto presupposto impositivo (sentenza n. 21 del 1996) » - Cass. Sez. V trib. 8.8.2005 n. 16717-.

Tale affermazione è dunque tale da escludere un rapporto di omogeneità, quanto ai presupposti impositivi, tra espropriazione di aree fabbricabili, oggetto della norma censurata, e espropriazione di aree edificate, posta da un lato l’eccezionalità dell’esproprio di queste ultime, per la quale non è neppure dettata una disciplina specifica sulla indennità di esproprio (sulla non comparabilità di situazioni eccezionali: sentenze nn. 272 e 298 del 1994 e 295 del 1995), e dall’altro la non ravvisabilità, per i fabbricati, di una lievitazione del prezzo, paragonabile a quella che caratterizza i terreni cui sia assegnata destinazione edificatoria.

La posizione espressa dal giudice delle leggi è quindi orientata a giustificare l’imposizione sulle stesse basi che avevano a suo tempo giustificato l’adozione di un indennizzo espropriativi ridotto per le aree edificabili, appunto rappresentato dall’esigenza di perequare l’indennità con il valore proprio dei suoli - v. Corte cost. n. 283/1993 ove si era affermato che « la determinazione dell’indennità delle aree fabbricabili non può non risentire del fatto che la destinazione urbanistica comporta un valore aggiunto (rendita di posizione) rispetto al contenuto essenziale del diritto di proprietà sicché diverso può essere il bilanciamento tra interesse generale ed interesse privato rispetto all’ipotesi dell’espropriazione di aree non fabbricabili. Come anche un contesto complessivo che risulti caratterizzato da una sfavorevole congiuntura economica - che il legislatore mira a contrastare con un’ampia manovra economico-finanziaria - può conferire un diverso peso ai confliggenti interessi oggetto del bilanciamento legislativo. »

Tali conclusioni sembrano particolarmente rilevanti quando si deve pensare ad un sistema liquidatorio degli indennizzi espropriativi, se appunto si considera che l’accenno, fatto da Corte cost. n. 348/2007, al fatto che « …la suddetta indennità è inferiore alla soglia minima accettabile di riparazione dovuta ai proprietari espropriati, anche in considerazione del fatto che la pur ridotta somma spettante ai proprietari viene ulteriormente falcidiata dall’imposizione fiscale, la quale - come rileva il rimettente - si attesta su valori di circa il 20 per cento » lascia intravedere un superamento dell’indirizzo invece favorevole a scindere l’esame del contenuto della disposizione fiscale rispetto a quello concernente la previsione regolante l’importo dell’indennizzo.

Ciò sembra far trasparire una particolare – e nuova- attenzione del giudice delle leggi sugli aspetti relativi alla congruità del sistema impositivo interno proprio alla stregua della giurisprudenza sopranazionale che, si ricorderà, aveva riconosciuto, con la sentenza della grande Camera, un indennizzo al valore di mercato pieno e “FRANCO” da imposizioni.

Resta, allora, da capire se il sistema dell’imposizione fiscale può reggere al vaglio del giudice di Strasburgo. E ciò tanto con riferimento alle ipotesi di occupazione acquisitiva che rispetto a quelle di indennizzo espropriativo.

Infatti, il sistema della legge n. 413/1001 è stato ribadito dall’art.35 t.u. espropriazione, a tenore del quale « Si applica l’articolo 81, comma 1, lettera b), ultima parte, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato col decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, qualora sia corrisposta a chi non eserciti una impresa commerciale una somma a titolo di indennità di esproprio, ovvero di corrispettivo di cessione volontaria o di risarcimento del danno per acquisizione coattiva, di un terreno ove sia stata realizzata un’opera pubblica, un intervento di edilizia residenziale pubblica o una infrastruttura urbana all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, come definite dagli strumenti urbanistici. Il soggetto che corrisponde la somma opera la ritenuta nella misura del venti per cento, a titolo di imposta.

Con la dichiarazione dei redditi, il contribuente può optare per la tassazione ordinaria, col computo della ritenuta a titolo di acconto. Le disposizioni del comma 2 si applicano anche quando il pagamento avvenga a seguito di un pignoramento presso terzi e della conseguente ordinanza di assegnazione. Le modalità di adempimento degli obblighi previsti nei commi precedenti sono disciplinate con regolamento del Ministro delle finanze e dell’economia.

Si applica l’articolo 28, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, per il versamento della ritenuta, per gli obblighi della dichiarazione e per le sanzioni da irrogare. » È poi l’ultimo comma dello stesso articolo a prevedere che « Gli interessi percepiti per il ritardato pagamento della somma di cui al comma 1 e l’indennità di occupazione costituiscono reddito imponibile e concorrono alla formazione dei redditi diversi. »

Orbene, uno sguardo alla giurisprudenza della CEDU sul punto appare estremamente rilevante perché esso dimostra una certa evoluzione del diritto vivente del giudice europeo verso posizioni particolarmente favorevoli per il proprietario.

La Corte dei diritti umani — Corte dir. uomo, 3 giugno 2004, Di Belmonte c. Italia — ha dichiarato irricevibile il ricorso presentato da un proprietario che lamentava il contrasto della legge n. 413/1988 con l’art. 1 Prot. n. 1 alla C.e.d.u. in una vicenda nella quale la disciplina fiscale era intervenuta in epoca successiva al pagamento del risarcimento del danno da occupazione illegittima, riconosciuto a valore pieno [2].

Nella vicenda concreta i proprietari avevano impugnato la trattenuta operata all’atto del pagamento del risarcimento del danno – dipendente dalla sentenza che aveva attribuito il diritto patrimoniale pochi giorni prima dell’entrata in vigore della l. n. 413/1991-avvenuto in epoca di poco successiva, ottenendo dalla Commissione tributaria provinciale e regionale l’annullamento del provvedimento di rigetto del rimborso.

Epperò la Cassazione, con sentenza n. 5431/2001, aveva ritenuto l’applicazione retroattiva della disposizione normativa, richiamandosi al proprio orientamento che giustificava l’applicazione della trattenuta a tutte le somme percepite dal proprietario dopo l’entrata in vigore della legge, non assumendo alc...

Autore

Conti, Roberto

Magistrato della Corte di Cassazione