Espropri per pubblica utilità: i tributi sui trasferimenti e l'I.V.A.

IVA

Premessa

L’IVA è un’imposta indiretta sul consumo, in quanto colpisce il reddito nel momento in cui esso viene destinato al consumo, quale fatto espressivo di capacità contributiva, ed è stata introdotta nell’ordinamento italiano con il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, a decorrere dal 1° gennaio 1973 [1].

L’art. 1 di tale D.P.R. stabilisce che l’IVA si applica sulle «cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate».

Pertanto, affinché un’operazione sia soggetta al regime IVA è necessario che siano soddisfatti contemporaneamente tre requisiti:

1) oggettivo, per cui deve trattarsi di una cessione di beni o di una prestazione di servizi;

2) soggettivo, nel senso che la transazione deve essere posta in essere da esercenti imprese, arti o professioni;

3) della territorialità, per il fatto che l’operazione deve essere effettuata nel territorio dello Stato. L’imposta si applica inoltre a tutte le importazioni da chiunque effettuate.

 
Alla luce di queste condizioni di assoggettabilità all’imposta in parola, si dovrebbero escludere dal campo di applicazione dell’IVA tutte le operazioni realizzate dagli enti pubblici, per la mancanza del requisito soggettivo dell’imprenditorialità. Così non è. Secondo l’opinione più diffusa, per gli enti pubblici – quando cedono beni o prestano servizi – assume rilevanza solo il requisito oggettivo [2] e cioè l’attività concretamente svolta, con la conseguenza che gli stessi «sono soggetti passivi d’imposta quando pongono in essere attività economica di tipo commerciale, non lo sono per le attività che esercitano in quanto pubbliche autorità» [3].

Pertanto, in linea di massima, l’ente pubblico non è da considerare «soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto e, tuttavia, allorquando esercita, anche in forza di leggi speciali, attività non rientranti fra i compiti d’istituto, oppure nell’ambito stesso dei compiti d’istituto, aventi una distinta individualità economica, anch’esso acquisisce la figura di soggetto d’imposta» [4].

Ciò, si ribadisce, quando l’ente pubblico cede il bene.

Quando acquista il bene, invece – cosa che avviene nell’espropriazione per pubblica utilità -, l’ente pubblico, come qualsiasi altro soggetto, è generalmente tenuto al pagamento dell’IVA «a nulla influendo che beni e servizi siano utilizzati o da utilizzare nell’esercizio di attività commerciali, per le quali sussiste la soggettività tributaria, oppure per il raggiungimento di finalità pubbliche» [5].

Con specifico riferimento all’acquisto da parte dell’ente pubblico di un bene immobile...


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Come già accennato a proposito dell’imposta di registro, c’è una parziale alternatività, tra questa e l’IVA, nel senso che – salvo alcune eccezioni non rilevanti in ambito espropriativo – l’IVA si cumula con l’imposta di registro in misura fissa anziché proporzionale. Si riporta quanto scritto a tale proposito nella Circolare 2/E del 21 febbraio 2014, pagine 25 e seguenti [8].


L’IVA sugli acquisti effettuati tramite la procedura espropriativa

Come precisato nel paragrafo precedente, l’ente pubblico che acquista un bene è tenuto al pagamento dell’imposta (con le normali aliquote di legge), a prescindere dal fatto che tale bene sia destinato o meno alla realizzazione dei suoi fini istituzionali.

La particolarità, pertanto, che l’attività espropriativa costituisca manifestazione della potestà d’imperio dell’ente pubblico non influisce sul trattamento fiscale ai fini IVA...


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Per quanto concerne il momento del sorgere dell’obbligazione tributaria connessa con l’effettuazione delle operazioni, l’art. 6, 2° comma, lett. a), del citato decreto, dispone che le cessioni di beni per atto della pubblica autorità si considerano effettuate «all’atto del pagamento del corrispettivo, per cui a tale momento va ricondotto l’obbligo dell’emissione della relativa fattura» [11].


Base imponibile

Il legislatore, all’art. 13, 2° comma, lett. a), del D.P.R. 633/1972 ha esplicitamente stabilito che «per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi dipendenti da atto della pubblica autorità» i corrispettivi, che vanno a formare la base imponibile ai fini IVA, sono costituiti «dall’indennizzo comunque denominato», casistica nella quale non si può non far rientrare la fattispecie dell’espropriazione [12].

Tuttavia occorre considerare che lo scopo dell’IVA è quello di colpire il trasferimento dei beni o dei diritti sui beni, e quindi la base imponibile deve pur sempre riferirsi al controvalore del diritto trasferito o imposto: sotto questo profilo non si vede alcuna plausibile ragione per assoggettare al tributo poste indennitarie che non hanno alcuna funzione di corrispettivo del trasferimento del bene, quali l’indennità di occupazione temporanea, l’indennità aggiuntiva spettante al coltivatore diretto ai sensi degli articoli 37.9 o 40.4 del dPR 327/2001, o l’indennizzo per i soprassuoli danneggiati o distrutti dall’esproprio.

A questo proposito si evidenzia che il Ministero delle Finanze, con Risoluzione del 10/10/1990 n.430797, ha espressamente escluso l’indennità di occupazione (“avendo natura risarcitoria e non corrispettiva”) dall’ambito applicativo dell’IVA.

Rimangono fuori dall’ambito di applicazione del tributo in parola, in virtù di quanto previsto dall’art. 15, 1° comma, n. 1), del D.P.R. 633/1972, le somme dovute per interessi moratori e risarcimento danni, come ha precisato la Risoluzione Ministero delle Finanze 31 ottobre 1990, n. 430409.

Quest’ultima Risoluzione, peraltro, si è pronunciata su un caso estremamente importante agli effetti pratici, quello della rideterminazione dell’indennità esposta nell’atto e soggetta ad IVA, che richiama alla mente analoga problematica descritte in tema di imposta di registro: quid juris nel caso in cui il decreto di esproprio – contenente una certa determinazione dell’indennità su cui è applicata (se del caso) l’IVA – viene seguito a distanza di tempo ad una rideterminazione (ad esempio giudiziale) dell’indennità di esproprio? Il Ministero delle Finanze, nella citata Risoluzione 430409, ha risposto in modo molto semplice: «la quota dovuta ad integrazione dell’indennità di esproprio deve essere assoggettata regolarmente ad IVA, configurandosi quale parte del corrispettivo di una cessione, imponibile ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. 26.10.72 n. 633, posta in essere da un soggetto d’imposta».


Servitù

Quanto sopra precisato è da intendersi, inoltre, applicabile anche alle ipotesi di imposizione di servitù.

Infatti, il D.P.R. 633/1972, dopo aver disposto all’art. 1 che sono operazioni imponibili ai fini IVA le «cessioni di beni», con il successivo art. 2 precisa che «costituiscono cessioni di beni gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere».

Le imposizione di servitù configurano – per l’appunto – atti di costituzione di diritti reali di godimento su beni e dunque sono da considerarsi operazioni imponibili, da assoggettare ad IVA al verificarsi delle relative condizioni.


Presupposti



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Presupposto soggettivo: natura del cedente

Come si è visto, l’articolo 1 del dPR 633/1972 condiziona l’applicazione dell’IVA al fatto che la cessione del bene sia effettuata nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni.

Ora, l’inerenza del trasferimento all’attività economica del cedente...


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Peraltro questa (non completamente chiarita) problematica è notevolmente semplificata dalla presunzione di esercizio d’impresa stabilita al secondo comma dell’articolo 4 del dPR 633/1972, secondo cui devono, in ogni caso, considerarsi effettuate nell’esercizio di impresa, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi compiute: 1) «dalle società in nome collettivo e in accomandita semplice, dalle società per azioni e in accomandita per azioni, dalle società a responsabilità limitata, dalle società cooperative, di mutua assicurazione e di armamento, dalle società estere di cui all’art. 2507 del codice civile e dalle società di fatto» e 2) «da altri enti pubblici e privati, compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica e le società semplici, che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole» [15].

Di fatto, quindi, l’indennità di esproprio per un bene appartenente ad una società è automaticamente soggetto ad IVA, senza che rilevi l’inerenza o meno dell’immobile con l’attività d’impresa [16].

Al riguardo, si registrano numerose e costanti pronunce ministeriali, da molte delle quali si ricava l’impressione di una applicazione indiscriminata del tributo quando il cedente sia un soggetto d’IVA [17]. Ad esempio nella Risoluzione 7 febbraio 1984, n. 344477...


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Presupposto oggettivo: natura dell’area

Oltre al citato requisito di carattere soggettivo, sussiste anche un requisito oggettivo, costituito dal dover essere l’indennità di esproprio corrisposta relativamente ad aree aventi natura edificabile.

In base all’art. 2, 3° comma, lett. c), del D.P.R. 633/1972, non sono, infatti, considerate cessione di beni (e quindi sono «escluse» dal campo di applicazione IVA) quelle che «hanno per oggetto terreni non suscettibili di utilizzazione edificatoria a norma delle vigenti disposizioni».

La citata norma precisa, altresì, che non costituisce utilizzazione edificatoria la costruzione delle opere indicate all’art. 9, lett. a), della Legge 28 gennaio 1977, n. 10, ossia quelle opere realizzate nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale.

Sotto il profilo dell’apprezzamento della suscettibilità edificatoria di un bene...


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In buona sostanza, sul piano pratico, si può affermare che, in ordine alle aree inedificate, si pone il problema dell’IVA laddove l’indennità di esproprio sia stata determinata facendo applicazione del criterio indennitario previsto per le aree edificabili (art. 37 dPR 327/2001), mentre non si pone il problema dell’IVA laddove l’indennità di esproprio sia stata determinata facendo applicazione del criterio indennitario previsto per le aree non edificabili (art. 40 dPR 327/2001).


L’IVA sulle vendite di aree espropriate

In virtù delle disposizioni previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 167, e dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, il Comune può espropriare aree edificabili da destinare, rispettivamente, all’edilizia residenziale pubblica ed economica e popolare e alla realizzazione di impianti produttivi di carattere industriale, artigianale, commerciale e turistico.

Ebbene, le successive operazioni di assegnazione ai singoli soggetti, da parte del Comune stesso, di tali aree, inserite nei PEEP (Piani edilizia economico popolare) e nei PIP (Piani insediamenti produttivi), sono escluse dal campo di applicazione dell’IVA.

Il Ministero delle Finanze con Risoluzione 19 ottobre 1992, n. 431064, ha infatti affermato che tali cessioni «rientrano nello svolgimento dell’attività istituzionale del Comune, come tale priva di qualsiasi attributo commerciale».

Con successiva Circolare 14 giugno 1993, n. 8/478013, il Ministero delle Finanze...


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Ha, infatti, chiarito che detta esclusione opera anche se l’assegnazione si riferisce ad aree edificabili «acquisiste dall’ente locale nell’ambito della propria autonomia negoziale esercitata al di fuori di qualsiasi procedura espropriativa [...] qualora le aree stesse siano state acquistate dall’ente nell’espletamento della sua attività istituzionale. Ove, infatti, gli immobili non siano destinati all’esercizio di attività commerciali la successiva cessione resta estranea alla sfera applicativa del tributo per carenza, in capo all’ente locale, del presupposto soggettivo d’imposta ai sensi dell’articola 4 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633».

Invero, ancor prima di tale ultima interpretazione ministeriale e allo scopo di porre definitivamente fine alle incertezze che erano sorte al riguardo, a causa dei differenti indirizzi assunti in passato dall’Amministrazione Finanziaria [22], era intervenuto il legislatore con l’art. 36, comma 19-bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito in L. 29 ottobre 1993, n. 427, che ha attributo valenza normativa a quanto era stato affermato dalla succitata Circolare n. 8/1993, ossia l’esclusione dal campo di applicazione IVA dell’assegnazione di aree edificabili acquisite dai Comuni tramite procedura espropriativa [23].

È da rilevare, tuttavia, che detta norma circoscrive l’ambito applicativo del principio, individuando un requisito di carattere soggettivo: stabilisce, infatti, la non assoggettabilità delle cessioni di aree edificabili, precedentemente espropriate, se l’operazione è stata effettuata da un Comune.

In tal senso, la Risoluzione 30 luglio 2003, n. 160...


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Diversamente, con la precedente Risoluzione 13 dicembre 2001, n. 206, il Ministero delle Finanze ha escluso l’assoggettabilità ad IVA delle cessioni di aree industriali eseguite, non solo dai Comuni, ma anche dagli altri enti pubblici territoriali, come le Provincie, le Regioni o lo Stato, ritenendo trattarsi dello svolgimento di funzioni istituzionali proprie di tali enti, fondate sul loro potere d’imperio e per le quali devono valere, pertanto, le considerazioni di cui alla Circolare 14 giugno 1993, n. 8/478013.

Pertanto, le medesime operazioni effettuate da soggetti diversi dagli enti pubblici territoriali, anche se giuridicamente classificabili in Enti pubblici non economici, rilevano ai fini IVA.


Sintesi

In via necessariamente approssimativa, si sintetizza l’IVA come segue. È da assoggettare ad IVA l’indennità di esproprio o di asservimento corrisposta ad un soggetto dotato di partita IVA....


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