I PROTOCOLLI ALLA CONVENZIONE SULLA PROTEZIONE DEGLI INTERESSI
FINANZIARI DELLA COMUNITÀ EUROPEA
Oltre alla frode, anche la corruzione e il riciclaggio furono visti dal
legislatore comunitario di metà anni ’90 come condotte potenzialmente
dannose per gli interessi finanziari della UE. Per questo motivo, in
aggiunta alla Convenzione sulla Protezione degli interessi finanziari
della UE, focalizzata principalmente sul concetto di “frode”, furono
redatti due protocolli, uno sulla corruzione e uno sul riciclaggio,
invitando gli Stati Membri a prevedere norme e sanzioni penali per tali
condotte, così da cercare di armonizzare le legislazioni del vari Stati
sul punto.
Lo scritto analizza quindi le norme di tali protocolli, compreso un
protocollo sul ruolo della Corte di Giustizia rispetto a tali norme,
anche alla luce della esperienza concreta di funzionamento dell’Ufficio
Europeo per la Lotta Antifrode (OLAF) e cerca anche di dare un
inquadramento sistematico a tali strumenti legislativi, quali atti
tipici dell’ex Terzo Pilastro della UE.
LA DECISIONE QUADRO 2002/629/GAI E SUCCESSIVE MODIFICHE SULLA LOTTA
ALLA TRATTA DEGLI ESSERI UMANI
I fenomeni della tratta degli esseri umani e del traffico di migranti
sono stati, negli ultimi 20 anni, in linea con il notevole incremento
dei flussi migratori, oggetto di costante attenzione ed analisi sia dal
punto di vista economico-politico-sociale che sotto un profilo
strettamente normativo, internazionale e nazionale.
Numerose fonti sovranazionali disciplinano oggi la materia, a partire
dalla Convenzione delle Nazioni Unite sulla criminalità transnazionale
del 2000 con gli annessi Protocolli sulla Tratta e sul Traffico. In
linea con le disposizioni adottate in sede ONU si è mossa la produzione
legislativa europea, anche al fine di realizzare uno spazio giuridico
comune europeo ed una reale armonizzazione delle diverse legislazioni
nazionali in un settore che coinvolge, in re ipsa, una pluralità di
Stati.
La Decisione Quadro del 2002 è proprio uno degli strumenti adottati al
fine di perseguire queste finalità, così come la recente Direttiva
dell’Aprile 2011 che ha sostituito la prima.
Lo scritto analizza entrambi gli atti normativi citati, la loro
attuazione nell’ordinamento italiano, le recenti tendenze in materia di
tratta e traffico e le maggiori problematiche sorte nella
giurisprudenza italiana.
LA NORMATIVA INTERNA, COMUNITARIA E INTERNAZIONALE IN MATERIA DI VISTI,
ASILO E IMMIGRAZIONE
Il sistema delle fonti del diritto è divenuto composito, articolato,
multilivello, in considerazione della crescente presenza delle fonti
sovranazionali, in particolare quelle comunitarie.
La condizione giuridica dello straniero non è più disciplinata
dalla
legge italiana in modo esclusivo, ma in concorrenza con il diritto
dell’Unione e nel rispetto dei vincoli internazionali ed in particolare
della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
con i relativi protocolli.
Il nodo centrale per i giudici nazionali come giudici dell’Unione, sarà
quello di trovare la corretta composizione delle relazioni fra Unione
Europea, Carta dei diritti fondamentali e Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
proprio perché parte essenziale del sistema di tutela giurisdizionale
europeo, di cui rappresentano lo strumento fondamentale.
Nella Comunità europea, fino al Trattato di Amsterdam del 1997, le
materie relative a visti, asilo e immigrazione erano lasciate alla sola
cooperazione intergovernativa.
Il Trattato di Amsterdam del 1997 segna un primo importante
cambiamento, venendo sancita la competenza comunitaria in materia di
immigrazione e asilo con il passaggio dal terzo pilastro, tra le
materie che necessitavano di coordinamento intergovernativo, al primo
pilastro tra le materia rientranti nel programma di azione comunitario
al fine di istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Ma il vero cambiamento avviene l’1 dicembre 2009 con l’entrata in
vigore del Trattato di Lisbona, che modifica il contesto generale del
sistema dei Trattati dell’Unione, riconosce soggettività giuridica
all’Unione, costituzionalizza la Carta di Nizza e dispone l’adesione
dell’Unione alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).
Il Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009 ha ribadito la sua
determinazione a proseguire lo sviluppo di uno spazio di libertà,
sicurezza e giustizia al servizio e a tutela dei cittadini dell'UE e di
coloro che vivono in tale spazio. Cinque anni dopo il programma
dell'Aia, obiettivo dell'Unione è quello di riesaminare la sua politica
per affrontare in maniera efficace le nuove sfide, sfruttando appieno
le opportunità offerte dal trattato di Lisbona. A tal fine il Consiglio
europeo ha adottato un nuovo programma pluriennale per il periodo
2010-2014, il programma di Stoccolma.
La questione del ruolo del diritto, sia penale che civile, di fronte a
fenomeni così imponenti è ovviamente complessa, richiedendo il
contemperamento di due urgenze: quella di assicurare la tutela penale
della persona aggredita nei suoi diritti fondamentali, fino a
proteggere l'individuo anche contro il suo gruppo di appartenenza
culturale; e quella di evitare che l'intervento penale si atteggi a
espressione della criminalizzazione dell'appartenenza a una determinata
minoranza (nel caso di norme penali più rigoristiche) ovvero (nel caso
di norme di favore) a forma di delegittimazione dell'azione di
contrasto del perpetuarsi di determinate pratiche particolarmente
odiose, perché perpetrate nei confronti di soggetti inermi e ai limiti
della sopravvivenza.
Nel Trattato di Lisbona le disposizioni relative a visto, asilo e
immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione
delle persone sono state collocate nel titolo IV del TCE e quindi
sottoposte al metodo comunitario, mentre le disposizioni sulla
cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale sono state
collocate nel TUE e sottoposte a procedure ed atti ad hoc.
La politica comune in materia di asilo e di protezione temporanea in
base al Trattato passa attraverso la definizione di un sistema europeo
comune d’asilo volto a offrire uno status appropriato a qualsiasi
cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale
ed a garantire il rispetto del principio di non respingimento,
conformemente alla convenzione di Ginevra e al protocollo relativo allo
status dei rifugiati ed agli altri trattati pertinenti.
In materia di immigrazione, sono stati valorizzati i principi tesi ad
assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori e
l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano
legalmente negli Stati membri; ad intensificare la prevenzione e il
contrasto dell'immigrazione illegale e della tratta di esseri umani.
Gli atti comunitari relativi all’immigrazione, ai visti e all’asilo.
La Decisione quadro 2002/946/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2002,
che fa parte degli strumenti adottati per combattere l'immigrazione
clandestina, il lavoro illegale, la tratta degli esseri umani e lo
sfruttamento sessuale dei bambini, integra la direttiva 2002/90/CE,
mira a rafforzare il quadro penale per reprimere il favoreggiamento
dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali.
In questo quadro si sono inseriti gli interventi adottati per dare
attuazione alla direttiva europea 2004/38/CE, relativa al diritto dei
cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di
soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri.
Tale disciplina è stata quindi recepita dall’Italia mediante
l’emanazione, del d. lgs. 6 febbraio 2007 n.30, successivamente
modificato dal d. lgs. 28 febbraio 2008 n.32, che, oltre a regolare le
modalità di esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno
nel territorio dello Stato dei cittadini dell’Unione europea e dei
familiari che li accompagnano o li raggiungono, ha disciplinato i
presupposti del diritto di soggiorno permanente e le limitazioni a tali
diritti per motivi di sicurezza dello Stato, di ordine pubblico e di
pubblica sicurezza.
In generale, comunque, tutte le innovazioni vanno esplicitamente nel
senso di equiparare la condizione del cittadino comunitario allontanato
a quella del cittadino extracomunitario espulso.
Il settore dell'ordinamento giuridico sull'immigrazione e, più in
generale, sulla condizione giuridica dello straniero, sia comunitario
che extracomunitario, è dunque uno dei campi che ha
conosciuto negli
ultimi anni più interventi normativi: si pensi, per citare solo quelli
più significativi, alla legge Martelli, ai decreti Conso, ai vari
decreti Dini, al testo unico del 1998, alla legge Bossi – Fini, alla
legge n. 271/2004 e ai decreti legislativi n.30 del 2007 e n.32 del
2008, fino al d.l. 23 giugno 2011, n. 89.
E’ stata così confermata la scelta del legislatore italiano fatta sin
dalla legge Bossi-Fini del 2002, di utilizzare il diritto penale non
solo allo scopo di combattere il favoreggiamento dell’immigrazione non
regolare, secondo quanto previsto originariamente dal t.u. del 1998, ma
anche per sanzionare direttamente lo straniero la cui presenza nel
territorio nazionale sia irregolare.
Con la Direttiva 2008/115/CE l’Unione ha cercato di concretizzare una
riconoscibile politica europea in materia di immigrazione, seppure
limitando l’oggetto dell’intervento normativo al settore delle
condizioni della procedura di rimpatrio degli stranieri irregolari nei
loro paesi d’origine ed evitando, allo stato, di definire una organica
disciplina delle modalità d’ammissione e d’accoglienza degli stranieri
in Europa, che, con qualche eccezione, resta al momento di esclusivo
appannaggio degli Stati membri.
In merito alle disposizioni generali della direttiva sui rimpatri, deve
essere sottolineato poi che nell'applicazione di quest'ultima gli Stati
membri debbono tenere nella dovuta considerazione i criteri generali
dell'interesse superiore del bambino, della vita familiare, delle
condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato,
attenendosi altresì al rispetto del principio di "non-refoulement".
Su questo quadro complesso la legittimità della normativa in materia di
immigrazione è stata affrontata sia dalla Corte costituzionale che
dalle Corti Europee, che hanno invitato l’Italia ad adeguarsi al
contenuto della direttiva medesima.
Per adeguarsi all’invito a rendere più completa la normativa di
recepimento della direttiva 2004/38 il legislatore italiano ha
approvato così il decreto legge 23 giugno 2011, n. 89 conv, nella 2
agosto 2011, n. 129, con cui sono state introdotte disposizioni che
interessano sia il cittadino comunitario che lo straniero
extracomunitario, modificando in particolare in maniera significativa
la disciplina dell’espulsione amministrativa contenuta negli artt. 13 e
14 TUS, anche perché a seguito della decisione della Corte di giustizia
del 28 aprile 2011 il legislatore italiano si è trovato nella necessità
di riscrivere l’apparato sanzionatorio posto a corredo delle norme
penali che disciplinano la procedura dell’espulsione, giudicate dalla
Corte europea incompatibili con la direttiva Direttiva 2008/115/CE.
Diritto di asilo, rifugio e protezione umanitaria.
Il diritto di asilo viene definito dall’art. 14 della Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo del 1948 come “diritto di cercare e di
godere in altri paesi protezione dalle persecuzioni, non invocabile,
però, da chi sia realmente ricercato per reati non politici o per
azioni contrarie ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite.” L’art. 1
della Convenzione di Ginevra del 1951, definisce come rifugiato
chiunque “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza,
religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o
per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è
cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi
della protezione di questo Paese; oppure a chiunque, non avendo la
cittadinanza e trovandosi fuori dal Paese in cui aveva residenza
abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi
per il timore di cui sopra”.
Sostanzialmente nello stesso senso è la definizione contenuta nel d.
lgs. 251/2007 che prevede inoltre la protezione sussidiaria.
Con la dichiarazione di Berlino del 25 marzo 2007 e con il Trattato di
Lisbona l’Unione Europea ha previsto una politica comune in
materia di
asilo e di protezione temporanea, attraverso la definizione di un
sistema europeo comune d’asilo volto a offrire uno status appropriato a
qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione
internazionale ed a garantire il rispetto del principio di non
respingimento, conformemente alla convenzione di Ginevra e al
protocollo relativi allo status dei rifugiati ed agli altri trattati
pertinenti, anche se la mobilità delle persone, la sicurezza interna,
la tutela dei diritti fondamentali vivono dunque all’interno di un
quadro di profonde interconnessioni dove l’ampliamento della sfera di
ognuno può avere come conseguenza un restringimento dell’altro.
Tuttavia la Corte EDU ha ribadito che la protezione accordata dall’art.
3 CEDU deve essere assoluta, con il conseguente divieto di espellere o
estradare “chiunque” corra il rischio, nel paese di ricezione, di
essere sottoposto a trattamenti inumani: indipendentemente, quindi,
dalla gravità della eventuale condotta delittuosa tenuta dal soggetto
espulso, e/o dalla sua pericolosità.
Gli aspetti procedimentali concernenti le domande di protezione
internazionale finalizzate all’ottenimento degli status di rifugiato e
di protezione sussidiaria, nonché le procedure per la revoca e la
cessazione degli status riconosciuti, sono stati disciplinati – sempre
in attuazione di una direttiva comunitaria - dal decreto legislativo 28
gennaio 2008, n. 25 (“Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante
norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del
riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato”.
Per quanto riguarda l’istituto dell’estradizione l’ordinamento italiano
ha sicuramente recepito i principi contenuti nella CEDU e riaffermati
anche dalla Corte europea in materia di rispetto dei diritti umani con
riferimento a questo istituto, grazie anche alla interpretazione della
normativa che ne ha dato la giurisprudenza.
LA DIRETTIVA 2008/99/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO SULLA
TUTELA PENALE DELL’AMBIENTE
La direttiva 2008/99/CE rappresenta il punto di arrivo di un articolato
percorso, oramai più che trentennale, compiuto dalle istituzioni
comunitarie, diretto ad apprestare un elevato livello di tutela
all’ambiente.
L’obiettivo principale che si propone la direttiva è quello di dare
effettività alla protezione dell’ambiente, dal momento che i sistemi
sanzionatori vigenti non sono sufficienti per garantire la piena
osservanza della normativa in materia di tutela dell’ambiente.
Un’efficace tutela dell’ambiente esige, in particolare sanzioni
maggiormente dissuasive per le attività che danneggiano l’ambiente.
Accanto a siffatta finalità di fondo, e connessa ad essa, vi è pure
l’obiettivo di addivenire ad uno standard normativo di protezione
minimo ed uniforme, tale da consentire il ricorso a metodi di indagine
efficaci e soprattutto a strumenti di cooperazione internazionale,
giudiziaria e di polizia, indispensabili per il carattere sovente
transnazionale delle condotte criminose, altrimenti preclusi dal
disomogeneo livello di tutela vigente negli Stati membri.
L’area dell’illecito da presidiare mediante sanzioni penali viene
individuata mediante il richiamo agli atti legislativi adottati ai
sensi del Trattato CE e del Trattato Euratom –dettagliatamente indicati
negli allegati “A” e “B” alla direttiva- nonché ad ogni atto adottato
dagli Stati membri in attuazione della predetta legislazione
comunitaria.
Affinché si superi la soglia della penale rilevanza, occorre, inoltre,
che sussista la gravità delle violazioni, rapportata, sostanzialmente,
al pericolo concreto ovvero al danno cagionato, per l’ambiente e
l’incolumità delle persone.
La seconda parte della direttiva è dedicata alla responsabilità delle
persone giuridiche, con riferimento alle quali il legislatore
comunitario richiede agli Stati membri l’adozione di specifiche
disposizioni che sanzionino efficacemente gli enti, ad eccezioni di
quelli pubblici, nel cui interesse vengono realizzati tali illeciti.
Con legge 4 giugno 2010, nr. 96, recante “Disposizioni per
l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle
Comunità Europee –Legge Comunitaria 2009”, è stata conferita delega al
Governo per il recepimento della direttiva 2008/99/CE, delega attuata
con il decreto legislativo 7 luglio 2011, n.121, entrato in vigore il
16 agosto 2011.
Con tale intervento normativo, il legislatore italiano ha introdotto le
seguenti ipotesi di reato: l’art. 727-bis (Uccisione, distruzione,
cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie
animali o vegetali selvatiche protette) e l’art. 733-bis (Distruzione o
deterioramento di habitat all'interno di
un sito protetto).
Nel medesimo contesto, sono state dettate le disposizioni che hanno
esteso la disciplina del decreto legislativo 231/2001, in tema di
responsabilità delle persone giuridiche da reato, anche ai crimini
ambientali.
LA DECISIONE QUADRO 2001\220 GAI SULLA POSIZIONE DELLA VITTIMA NEL PROCEDIMENTO PENALE
La indicazione di strumenti la protezione della
vittima da reato nel procedimento penale è l’oggetto della
decisione quadro 2001\ 220 GAI; l’obiettivo è, ancora una volta, quello
di armonizzare le legislazioni dei paesi aderenti all’Unione.
La normativa europea prende in considerazione sia i problemi relativi
agli effetti negativi del processo sulla vittima, sia le esigenze
di protezione dell’offeso da eventuali ritorsioni dell’accusato.
Considerazione particolare viene dedicata alle vittime
“particolarmente vulnerabili” di cui la decisione quadro non fornisce
alcuna definizione, ma in relazione alle quali sono indicate speciali
misure di protezione.
Il profilo maggiormente critico relativo alla tutela della
vittima da reato consiste nel difficile contemperamento del diritto
dell’offeso ad essere tutelato, con quello dell’accusato a
confrontarsi con l’accusatore secondo i principi del “giusto
processo”. Lo scritto esamina i profili maggiormente rilevanti
della decisione quadro, le disarmonie del nostro
sistema rispetto alle indicazioni sovranazionali ed i maggiori
arresti della Corte di giustizia europea. Sullo sfondo, il
dialogo delle Alte Corti sui diritti fondamentali coinvolti
nel delicato bilanciamento.