Edificabilità e proprietà dell'area: presupposti al raffronto tra indennità d'esproprio e valore dichiarato a fini I.C.I.

Presupposto oggettivo: l’edificabilità dell’area

Ai sensi del citato art. 37, 8° comma, come già a norma del precedente art. 16, 1° comma, l’ente espropriante era, quindi, tenuto ad effettuare un confronto tra l’indennità dovuta per l’espropriazione di un bene ed il valore che era stato dichiarato/denunciato ai fini ICI per il medesimo bene e ciò esclusivamente nel caso in cui l’espropriazione riguardasse un’area edificabile.

La circostanza per cui detto obbligo risultava inserito nell’art. 37 rubricato «Determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un’area edificabile», aveva indotto a ritenere che il confronto dovesse intendersi circoscritto ai soli casi di applicazione del criterio indennitario di cui al medesimo art. 37...


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


Diversamente, secondo il succitato D.Lgs. 504/1992 - istitutivo dell’ICI - devono sussistere, invece, le possibilità legali «ovvero» effettive di edificazione. Precisamente l’art. 2, 1° comma, lett. b), definisce l’area fabbricabile come «l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità».

Sul piano del tenore strettamente letterale delle due norme sopra citate, emanate pressoché contestualmente [9], risulterebbe, che mentre in ambito espropriativo le possibilità «effettive» di edificazione possono essere considerate solo congiuntamente alle possibilità «legali» di edificazione, in materia di ICI, le possibilità «effettive» di edificazione hanno autonoma rilevanza e quindi basterebbero da sole a far ritenere sussistente il carattere fabbricabile dell’area [10].

È doveroso, peraltro, ricordare che, fin dall’entrata in vigore dell’art. 5-bis della L. 359/1992, (e) convertito nella legge 359 il riferimento alle suddette possibilità legali ed effettive aveva creato non poche difficoltà interpretative in dottrina e giurisprudenza, tant’è che si erano andati delineando tre diversi orientamenti: a) quello della cumulatività (ovvero della necessaria presenza congiunta dell’edificabilità «di diritto», correlata alle previsioni di legge e/o degli strumenti urbanistici, e dell’edificabilità «di fatto», rilevata attraverso le obiettive qualità e caratteristiche dell’area, l’ubicazione, l’accessibilità, lo sviluppo edilizio in atto nelle aree adiacenti, la presenza di opere di urbanizzazione, ecc.); b) quello dell’alternatività (cioè della sufficienza di una delle due condizioni: edificabilità di diritto o edificabilità di fatto); c) quello della prevalenza o sufficienza dell’edificabilità legale [11].

La questione venne poi risolta in favore di quest’ultimo orientamento e precisamente del principio, affermato dalla Corte di Cassazione, Sez. Un., con le sentenze n. 172/2001 [12] e n. 173/2001...


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


In particolare, il legislatore, nell’interpretare autenticamente l’art. 2, 1° comma, lett. b) del D.Lgs. 504/1992, ha, dapprima, stabilito con l’art. 11-quaterdecies, 16° comma, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, nella L. 2 dicembre 2005, n. 248, che un’area è da considerare fabbricabile ai fini ICI se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo [15].

Successivamente, a distanza di meno di un anno, il legislatore è ritornato sulla questione con l’art. 36, 2° comma, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, nella L. 4 agosto 2006, n. 248, che, nell’abrogare implicitamente la precedente, fornisce una nuova interpretazione autentica della citata disposizione, affermando che un’area è da considerare fabbricabile ai fini ICI se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione da parte della Regione, nonché dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo [16].

Rispetto alla precedente norma è stata inserita la previsione della non necessità dell’approvazione regionale (oltre alla non necessità dell’adozione di uno strumento attuativo), con la conseguenza che, ai fini ICI, affinché un’area possa essere considerata edificabile è sufficiente che la stessa sia solo inserita nello strumento urbanistico generale, anche solo adottato [17].

Tale ultima disposizione, ha anticipato, in particolare, quanto pronunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 30 novembre 2006, n. 25506, che, a sua volta, ha posto fine al «contrasto interpretativo» insorto nelle sezioni semplici tra indirizzo sostanzialistico ed indirizzo formale-legalistico in ordine ai criteri in base ai quali...


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


Con tale ordinanza, la Corte consolida l’orientamento cd. «sostanzialistico», il quale «ravvisa un’autonoma nozione tributaria di area fabbricabile, basata sull’aspettativa di edificazione derivante dall’inserimento in uno strumento urbanistico generale anche solo adottato, ma già per questo giuridicamente rilevante ancorché non pienamente legittimante l’edificazione del suolo per il diritto urbanistico» [20].

Il giudice delle leggi afferma, infatti, che è del tutto ragionevole che il legislatore attribuisca alla nozione di «area edificabile» significati diversi a seconda del settore normativo in cui detta nozione deve operare e, pertanto, distingua tra normativa fiscale, per la quale rileva la corretta determinazione del valore imponibile del suolo, e normativa urbanistica, per la quale invece rileva l’effettiva possibilità di edificare, secondo il corretto uso del territorio. Ai fini della determinazione dell’imponibile dell’ICI, il legislatore (L. n. 248/2006) muove dal presupposto fattuale che un’area in relazione alla quale non è ancora ottenibile il permesso di costruire, ma che tuttavia è qualificabile come «edificabile» da uno strumento urbanistico generale non approvato o attuato, ha un valore venale tendenzialmente diverso da quello di un terreno agricolo privo di tale qualificazione; ciò in quanto la potenzialità edificatoria è elemento idoneo ad influenzare il valore del terreno e, pertanto, rappresenta un indice di capacità contributiva adeguato, ai sensi dell’art. 53 Cost.

Sulla scia di tali affermazioni, la quinta sezione della Cassazione sostiene che la qualifica di area edificabile non può ritenersi esclusa dalla ricorrenza di particolari vincoli, come quelli cd. «strumentali» o «procedimentali», che condizionino, in concreto, l’edificabilità del suolo, poiché tali limiti ne presuppongono la vocazione edificatoria ed incidono solamente sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, dalla base imponibile [21].

Al riguardo, va osservato come il fatto che il concetto di edificabilità sia stato comunque ancorato allo strumento urbanistico (edificabilità legale) [22], ancorché solo adottato, stia a significare che all’edificabilità di fatto, nonostante l’«ovvero» dell’art. 2, non sia stata attribuita una rilevanza assoluta e tale da configurare da sola il requisito dell’edificabilità, con la conseguenza che, in linea di massima, i concetti risultano in definitiva relativamente simili a quelli espressi dalla prima sezione in materia di indennità.

Per completezza di argomento...


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


Presupposto soggettivo: la proprietà dell’area

L’art. 1 del D.Lgs. 504/1992 esordisce affermando che il presupposto dell’ICI è costituito dal «possesso» di immobili e precisamente «di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, compresi quindi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa».

In origine, parte della dottrina [27], facendo leva (solo) sul contenuto di tale disposizione aveva ritenuto che l’emissione, nell’ambito della procedura espropriativa, del provvedimento di occupazione d’urgenza di un terreno facesse venire meno l’obbligo fiscale del soggetto espropriando, trasferendosi (tale obbligo) in capo alla Pubblica Amministrazione espropriante.

Tale impostazione, tuttavia...


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


Conseguentemente, il proprietario non era soggetto al prelievo fiscale (ai fini dell’ICI, come ora disposto anche ai fini dell’IMU) solo quando sull’immobile risultava costituito un diritto reale, perché in tal caso obbligato al pagamento dell’imposta era il titolare del relativo diritto, non invece negli altri casi: il proprietario continuava, infatti, a versare l’imposta quando l’immobile era stato dato in locazione, affitto o comodato, nonché, per ciò che qui interessa, nella circostanza in cui lo stesso fosse stato oggetto di un provvedimento di occupazione d’urgenza e conseguente immissione in possesso.

In tal senso si era, infatti, espresso il Consiglio di Stato, sez. III, con decisione 23 giugno 1998, n. 739, affermando che «L’obbligo di denuncia ai fini dell’imposta comunale sugli immobili (…) sussiste anche nel periodo di occupazione d’urgenza»...


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


Tale principio, pur assai discutibile (e controverso sotto vari profili) nel merito della questione del mancato spossessamento in esito all’immissione in possesso, era stato costantemente confermato in giurisprudenza in ambito tributario [29].


L’ultima dichiarazione o denuncia ICI e la regolarizzazione da parte dell’evasore (parziale o totale). La sentenza della Corte Costituzionale 22 dicembre 2011, n. 338.

Una volta che era stata accertata la natura giuridica del bene immobile quale area fabbricabile ed era stato stimato il suo valore sulla scorta dei criteri previsti dall’art. 37, 1° e 2° comma, l’importo stesso doveva quindi essere confrontato con quello contenuto nella dichiarazione o denuncia ICI [30] presentata dal soggetto espropriato «prima» della determinazione formale dell’indennità provvisoria, avvenuta, in via ordinaria, nei modi stabiliti dall’art. 20, 3° comma [31], oppure, in via d’urgenza, secondo quanto previsto dall’art. 22, 1° comma [32].

Tali ultime disposizioni, riguardanti la determinazione formale dell’indennità, rappresentavano, in definitiva, il vincolo temporale (momento ultimo) entro il quale il proprietario doveva aver presentato la propria dichiarazione o denuncia.

Quindi, il proprietario che intendeva variare il valore precedentemente attribuito alla propria area fabbricabile, poteva presentare una denuncia di variazione tenendo conto dei seguenti termini:

  • la data del provvedimento di determinazione dell’indennità provvisoria di esproprio di cui all’art. 20, 3° comma (nel caso di procedura ordinaria);

  • la data del decreto di esproprio contenente la determinazione (urgente) dell’indennità ai sensi dell’art. 22 o la data del decreto di occupazione che determina (in via d’urgenza) l’indennità di esproprio ai sensi dell’art. 22-bis [33] (nel caso di procedura accelerata).


Con l’introduzione di tale limite temporale, il legislatore aveva, con tutta probabilità, voluto porre rimedio all’incertezza interpretativa sorta, relativamente all’art. 16 D.Lgs. 504/1992 [34], in ordine al problema del momento a cui far risalire l’ultima dichiarazione o denuncia presentata dall’espropriato.

Sul punto si registrano numerosi intervenuti da parte della Corte di Cassazione, la quale aveva assunto un orientamento del tutto costante, nel senso di attribuire rilevanza alla data del decreto di esproprio...


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


Con la citata sentenza la Corte Costituzionale, partendo dal presupposto che il meccanismo di aggancio tra indennità di esproprio e valore dichiarato in sede ICI era diretto ad armonizzare i valori ai fini tributari ed espropriativi delle aree fabbricabili, oltre che a dissuadere l’evasione fiscale, arrivava ad affermare che l’applicazione dell’art. 16 non poteva comportare in via definitiva la perdita o la riduzione dell’indennità di esproprio...


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


Secondo il parere espresso dalla Corte Costituzionale con la sent. n. 351/2000, il fatto che l’evasione fosse totale o parziale, oppure dipendente o meno da volontà consapevole o da mero errore nella dichiarazione, non era rilevante, in quanto in ogni caso l’evasore era colpevole e quindi assoggettabile a conseguenze di responsabilità.

In particolare, in relazione alle ipotesi di evasore totale e parziale, a riguardo delle quali le ordinanze di rimessione evidenziavano una disparità di trattamento, la Corte Costituzionale aveva precisato che l’evasore totale non veniva affatto avvantaggiato in quanto era destinato a subire, comunque, le sanzioni per l’omessa dichiarazione, nonché l’imposizione per l’ICI che aveva tentato di evadere.

Tale sentenza interpretativa ha visto il nascere di molteplici orientamenti della giurisprudenza di legittimità, che si differenziavano soprattutto con riguardo alle modalità applicative del meccanismo correttivo elaborato dalla Corte Costituzionale.

Invero, la Corte di Cassazione, dopo un iniziale periodo in cui (in dichiarato contrasto con le succitate affermazioni della Consulta) aveva continuato a limitare il campo di applicazione dell’art. 16 del D.Lgs. 504/1992 alle sole ipotesi di presentazione di dichiarazione ICI infedele, escludendo, invece, ogni conseguenza negativa a carico del proprietario che l’avesse del tutto omessa [37], negli ultimi tempi aveva assunto una nuova posizione, prevalentemente conforme all’insegnamento del giudice delle leggi [38].

In tale senso, risulta significativa la sentenza della Corte Suprema 5 novembre 2010, n. 22543, secondo la quale «L’omissione della dichiarazione ICI (ove dovuta) non neutralizza la funzione correttiva a detta dichiarazione attribuita dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, la quale potrà comunque esplicarsi -come precisato nella sentenza n. 351 del 2000 della Corte costituzionale- conseguenzialmente all’accertamento, in sede fiscale, dell’imposta dovuta (Cass. 12 ottobre 2007 n. 21433), divenendo pertanto operante al momento dell’erogazione dell’indennità».

La questione, tuttavia, non ha mai raggiunto un sostanziale grado di consolidamento, cosicché a fronte di un orientamento che, sia con riferimento al caso degli evasori totali (parificati all’evasori parziali)...


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


Si legge, in particolare, nelle citate ordinanze delle Sezioni Unite: «L’interpretazione corrente, che ha equiparato l’evasore totale all’evasore parziale, nel comune dovere di regolarizzare la loro posizione fiscale, come condizione per ottenere il pagamento dell’indennità di esproprio, è frutto di una interpretazione additiva che appare difficilmente condivisibile: essa elimina di fatto la riduzione della indennità parametrata alla dichiarazione ICI (che è il risultato voluto dal legislatore) e introduce una inedita procedura di necessitata conciliazione fiscale, che assurge a condizione di pagamento dell’indennità di esproprio».

Le Sezioni Unite nel rilevare l’effetto sanzionatorio, atipico ed indiretto, dell’art. 16 del D.Lgs. 504/1992, oggi art. 37 D.P.R. 327/2001, rappresentato dalla decurtazione dell’indennità di esproprio, hanno sostenuto che consentire all’espropriato di rettificare la dichiarazione o la denuncia ICI, o di presentarle dopo che la procedura di esproprio sia già stata avviata (secondo l’istituto del ravvedimento operoso), significava privare di tutta la sua forza dissuasiva la norma stessa.


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


È sulla base di tali considerazioni, le quali, nell’evidenziare un problema di coordinamento tra diversi principi costituzionali, fanno riemergere la questione della legittimità costituzionale dell’applicazione del meccanismo riduttivo alle ipotesi di omessa dichiarazione, che le Sezioni Unite hanno deciso di rimettere alla Corte Costituzionale il giudizio di costituzionalità delle norme sopra richiamate.

Per completezza di argomento, si evidenzia che la censura prospettata dalla Sezioni Unite era stata contestata dall’Avvocatura dello Stato, la quale non aveva rilevato sufficienti ragioni per discostarsi dall’interpretazione già offerta dalla Corte costituzionale con la sent. n. 351/2000. L’Avvocatura dello Stato riteneva...


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


La Corte Costituzionale, dopo che nel passato, in più occasioni, si era occupata dell’art. 16, 1° comma, D.Lgs. n. 504/1992 e aveva escluso che fosse contrario alla Costituzione, con la sentenza n. 338 del 22 dicembre 2011 ha abbandonato tale orientamento e ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di detta disposizione ed, in via consequenziale, dell’art. 37, 7° comma D.P.R. 327/2001 [39]. Il giudice delle leggi, facendo proprie le conclusioni delle Sezioni Unite, ha quindi sancito l’incompatibilità della disciplina dettata da tali norme con il «nucleo minimo di tutela del diritto di proprietà, in quanto non contempla alcun meccanismo che, in caso di omessa dichiarazione/denuncia ICI, consenta di porre un limite alla totale elisione di tale indennità, garantendo comunque un ragionevole rapporto tra il valore venale del suolo espropriato e l’ammontare della indennità». La Corte ha, inoltre, precisato che «tale vulnus si determina anche per il caso di dichiarazione/denuncia di valori irrisori, o di valori che potrebbero condurre comunque ad elidere il necessario vincolo di ragionevolezza e proporzionalità fra il comportamento tributario illecito e la sanzione, e quindi la pronuncia di illegittimità costituzionale deve necessariamente riguardare anche siffatto profilo della disciplina».


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


La citata norma della Corte Europea, interpretata anche alla luce dell’orientamento della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, non consente secondo la Consulta, di ritenere legittime «misure di prevenzione e dissuasione fiscale qualora non siano prevedibili (ovvero siano meramente eventuali) o pretendano dal soggetto dichiarante un eccessivo onere o, infine, comportino una eccessiva conseguenza sanzionatoria, come nel caso in cui possano giungere ad una sostanziale espropriazione senza indennizzo».

È quindi dal contrasto con detta norma (art. 1 del primo protocollo addizionale alla CEDU), oltre che dalla violazione dell’art. 42, 3° comma, Cost. e dell’art. 117, 1° comma, Cost., che deriva l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, 1° comma, D.Lgs. n. 504/1992 e dell’art. 37, 7° comma, D.P.R. 327/2001: tali disposizioni risultano, pertanto, espunte dall’ordinamento e non possono più trovare applicazione, dal giorno successivo alla pubblicazione dalla decisione della Corte.

Rimane ora in capo al legislatore, come affermato dalla Corte stessa, «la discrezionalità di stabilire sanzioni che, eventualmente, incidano anche sull’indennità di espropriazione, purché non realizzino una sostanziale confisca del bene...


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]