Raffronto tra l’indennità di esproprio e il valore dichiarato del bene ai fini I.C.I.

Applicabilità d’ufficio

In merito alla questione se spettasse al giudice accertare ex officio, eventualmente a mezzo di consulente tecnico d’ufficio, l’avvenuta presentazione della dichiarazione o denuncia ICI (e quindi adeguare il valore di esproprio del bene al valore fiscale dello stesso), oppure se gravasse sulla parte interessata sollevare apposite eccezioni, si registrava un orientamento giurisprudenziale consolidato a favore di tale ultima posizione.


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Il principio risultava pacifico anche sulla base delle pronunce del Giudice Ordinario, come emerge, a titolo esemplificativo, dalla sentenza della Corte d’Appello di Napoli, sez. I, del 23 febbraio 2012, secondo la quale «il giudice non può rilevare di ufficio l’eventuale discordanza tra indennità di espropriazione e valore del suolo denunciato ai fini ICI, che può assumere rilievo solo su eccezione dell’espropriarne» [45].


Il recupero dell’imposta

Sia l’art. 16 del D.Lgs. 504/1992, al 2° comma [46], sia l’art. 37 del T.U. sugli espropri, all’8° comma [47], non trascurano di prendere in considerazione nemmeno l’ipotesi, favorevole per l’espropriato, di fatto abbastanza rara, di una dichiarazione effettuata con importi superiori rispetto a quelli quantificati in sede di determinazione dell’indennità di esproprio.

È importante rilevare, innanzitutto, che le citate disposizioni non sono state abrogate dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 338 del 22 dicembre 2011 e pertanto devono ritenersi tuttora applicabili.

Al riguardo, si evidenzia che il Testo Unico sugli espropri, al pari della precedente disciplina, prevede (tuttora) che all’espropriato venga corrisposta, a titolo di rimborso, una somma equivalente alla differenza tra l’importo dell’imposta pagata negli ultimi cinque anni e quello risultante dal calcolo dell’imposta effettuato sulla base dell’indennità di esproprio.


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In ogni caso l’ente espropriante sarà tenuto a corrispondere detta maggiorazione solamente se il soggetto richiedente fornisca prova delle «asserite somme corrisposte agli uffici finanziari per il maggior valore attribuito ai propri terreni». [49]

Si ritiene, infine, interessante rilevare che con il Testo Unico sugli espropri l’ambito di applicazione della norma risulta aver subito una limitazione.

Il tenore letterale dell’art. 16 del D.Lgs. 504/1992, che al 1° comma faceva riferimento alle aree edificabili («In caso di espropriazione di area fabbricabile […]»), mentre nel 2° comma richiamava più in generale la pendenza di un procedimento espropriativo («caso di espropriazione per pubblica utilità […])», lasciava intendere [50], che mentre l’obbligo di ridurre l’indennità al valore dichiarato/denunciato ai fini dell’ICI (1° comma) riguardava solo l’espropriazione di aree edificabili, la maggiorazione dell’indennità dovuta per l’eccessiva imposta pagata (2° comma) si riferiva all’espropriazione indistinta di immobili, e dunque anche di fabbricati e terreni agricoli, oltre che di aree edificabili.


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Pertanto, si ritiene di poter sostenere che, con la nuova normativa, l’obbligo di reintegrare l’espropriato per l’eventuale imposta pagata in eccesso negli ultimi cinque anni, può nascere solamente nell’ipotesi in cui il procedimento di espropriazione abbia per oggetto un’area edificabile.


I termini di raffronto: il valore del bene

In ambito fiscale, ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 504/1992, la base imponibile ai fini ICI (ed ora ai fini dell’IMU) per le aree fabbricabili è costituita dal valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno di tassazione (tenendo conto di una serie di elementi, quali, la zona territoriale di ubicazione, l’indice di edificabilità, la destinazione d’uso consentita, gli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, i prezzi medi rilevanti sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche).


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A seguito della citata modifica apportata all’art. 37 del Testo Unico sugli espropri, risultava, pertanto, sostanzialmente superato il problema applicativo, che aveva caratterizzato il precedente regime, derivante dal meccanismo di determinazione dell’indennità di esproprio che prevedeva l’abbattimento del 40% del valore venale.

In ordine alla tematica del «valore» del bene, si deve evidenziare che, l’art. 37, 7° comma, prevedeva la riduzione da parte del Comune della misura dell’indennità di esproprio solamente nel caso in cui il valore dichiarato ai fini ICI fosse risultato, non solo inferiore alla prima, ma anche «contrastante con la normativa vigente».

Si trattava di una nuova condizione introdotta dal T.U. sugli espropri riguardante il valore dichiarato ai fini ICI: quest’ultimo, infatti, poteva comportare la riduzione dell’indennità di esproprio solo se fosse stato in contrasto con «la normativa vigente».

Invero, tale limitazione risultava particolarmente significativa


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«Ove l’espropriazione abbia riguardato un terreno urbanisticamente qualificabile come edificatorio (per essere ricompreso in un peep), ma di fatto utilizzato a fini agricoli, e ciò abbia indotto il contribuente a indicarne il valore agricolo nella dichiarazione ICI, non può applicarsi, nella determinazione dell’indennità, il criterio riduttivo previsto dall’art. 16 del D.lgs. n. 504 del 1992 […], essendo l’ambito applicativo della norma palesemente limitato al caso in cui il contribuente dichiari il valore agricolo in relazione a terreno che ricade nel regime tributario delle aree edificabili, il cui valore deve perciò essere dichiarato nella misura corrispondente a tale effettiva destinazione, ma non anche nell’ipotesi in cui, come chiaramente dispone il comma secondo dell’art. 2 del D.Lgs. 504, cit., con richiamo all’art. 9, quando il terreno ha utilizzazione agro-silvo-pastorale per via dell’attività esplicatavi a titolo principale da coltivatore o imprenditore agricolo che la possiede».

Peraltro, la condizione in argomento, secondo la quale la decurtazione dell’indennità di esproprio era subordinata all’accertamento del mancato rispetto della «normativa vigente», risultava strettamente connessa agli effetti derivanti dalla potestà regolamentare dei Comuni, disposta dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, ed in particolare dalla facoltà, prevista dall’art. 59 [41] per tali enti, di adottare un proprio regolamento ai fini della disciplina dell’applicazione dell’ICI.

Per ciò che rileva ai nostri fini, si evidenzia che tale disposizione, al 1° comma, lett. g), attribuisce ai Comuni la possibilità di «determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della limitazione del potere di accertamento del comune qualora l’imposta sia stata versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, secondo criteri improntati al perseguimento dello scopo di ridurre al massimo l’insorgenza di contenzioso».

Ora, a tale riguardo, ci si poteva chiedere se il fatto che il proprietario avesse dichiarato un valore inferiore all’indennità di esproprio, ma conforme ai valori di riferimento indicati dal Comune, impedisse la riduzione prevista dalla norma.

In realtà, la sussistenza di tali valori parametrici non esimeva e non esime il proprietario dal dichiarare l’eventuale più elevato effettivo valore dell’area, come al contrario, doveva e deve ritenersi consentito dichiarare un valore effettivo inferiore a quello di riferimento, qualora il proprietario sia in grado di dimostrare che il valore indicato dal Comune non corrisponde alla realtà.

Del resto, come stabilisce la citata disposizione, nonché chiarito dalle Circolari del Ministero delle Finanze n. 296 del 31 dicembre 1998 e n. 120 del 27 maggio 1999, la predeterminazione dei valori venali da parte del Comune...


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Occorre però, a questo proposito, effettuare una precisazione.

La possibilità di stabilire valori di riferimento per i contribuenti è espressamente prevista dal sopra richiamato l’art. 59, comma 1, lett. g) del dLgs 446/1997, che dà la possibilità ai Comuni di adottare un regolamento in materia di ICI.

Ora, il suddetto regolamento può prevedere la soppressione dell’obbligo di presentazione della dichiarazione o denuncia, e l’introduzione in suo luogo dell’obbligo della comunicazione (numero 1 lettera ‘l’ del primo comma dell’art. 59).

Ebbene, ai sensi del secondo comma dell’art. 59, se il regolamento in questione contiene la suddetta soppressione, per gli anni di vigenza del regolamento non opera l’art. 16, comma 1, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504.

Sennonché l’art. 50 comma 1 numero 134 del TUE ha abrogato, per le espropriazioni in ordine alle quali si applica il TUE, l’art. 16, sostituito appunto dall’art. 37.7, ma non il secondo comma dell’art. 59, il quale, tuttavia, non è nemmeno stato aggiornato con un esplicito richiamo dell’art. 37.7.

Ciò ha determinato un’oggettiva incertezza riguardo la sopravvivenza, in regime di art. 37, dell’esonero dalla verifica laddove sia stato adottato il regolamento comunale ex art. 59 dLgs 446/1997.


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Con tale pronuncia la Cassazione ha affermato l’importante principio per cui appartiene al Consiglio comunale dell’Amministrazione locale il potere di autoimporsi dei vincoli all’esercizio della potestà di accertamento del tributo, mentre spetta alla Giunta comunale la facoltà di emanare direttive o norme c.d. interne, rivolte esclusivamente agli uffici amministrativi comunali, prive di effetti limitativi del succitato potere di accertamento.

Conseguentemente, la rilevazione dei valori medi degli immobili ubicati nel territorio comunale potrà essere oggetto sia di atti normativi regolamentari (regolamenti) emanati dal Consiglio, sia di atti amministrativi (deliberazioni) adottati dalla Giunta, ma solo nel primo caso tali valori saranno vincolanti, nel senso di rendere illegittimi eventuali atti impositivi che accertassero valori superiori a quelli dichiarati dal contribuente, mentre nel secondo caso dovranno essere considerati quali dati di indirizzo, utili (solamente) ad uniformare l’attività di accertamento svolta dai funzionari del Comune.

Infine, non guasta svolgere una breve disamina circa gli effetti di tale pronuncia con riguardo all’IMU, benché, come precisato in apertura di questo capitolo, quest’ultima imposta sia stata, a sua volta, sostituita dal 1° gennaio 2014 dall’imposta unica comunale (IUC), composta, oltre che dall’IMU, dalla Tasi (la tassa sui servizi indivisibili comunali) e dalla Tari (tassa sui rifiuti).

Da una prima analisi, si rileva che in sede di conversione del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, nella L. 26 aprile 2012, n. 44, è stato eliminato il riferimento all’art. 59 del D.Lgs. n. 446/97, precedentemente contenuto nell’art. 14, 6° comma, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, istitutivo dell’IMU.

La disciplina prevista dall’art. 59, 1° comma, lett. g), dovrebbe, pertanto, ritenersi non applicabile all’IMU, come peraltro confermato dalle «Linee Guida (Regolamento per l’applicazione dell’Imposta Municipale Propria)», pubblicate l’11 luglio 2012 dal Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze [43].

Invece, secondo le citate «Linee Guida», «rientra nella potestà regolamentare dell’Ente Comunale, ai sensi dell’articolo 52 del Decreto Legislativo n. 446 del 1997, la possibilità di stabilire dei valori di riferimento ai fini del versamento dell’IMU; tali valori, non vincolanti né per il Comune né per il contribuente, possono essere individuati al mero scopo di facilitare il versamento dell’imposta».


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Le stesse «Linee Guida» non mancano, tuttavia, di introdurre una formula di apertura al riguardo, evidenziando come in realtà la «disposizione regolamentare di autolimitazione dei poteri di accertamento possa essere riproposta anche per l’IMU».


Applicabilità d’ufficio

In merito alla questione se spettasse al giudice accertare ex officio, eventualmente a mezzo di consulente tecnico d’ufficio, l’avvenuta presentazione della dichiarazione o denuncia ICI (e quindi adeguare il valore di esproprio del bene al valore fiscale dello stesso), oppure se gravasse sulla parte interessata sollevare apposite eccezioni, si registrava un orientamento giurisprudenziale consolidato a favore di tale ultima posizione.

La Corte di Cassazione con sentenza 27 giugno 2011, n. 14135, confermando le proprie precedenti decisioni [44], aveva, infatti, affermato che «Nel giudizio promosso dall’espropriato di area edificabile per la determinazione dell’indennità di espropriazione, l’ammontare discendente dai criteri di legge...


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Il principio risultava pacifico anche sulla base delle pronunce del Giudice Ordinario, come emerge, a titolo esemplificativo, dalla sentenza della Corte d’Appello di Napoli, sez. I, del 23 febbraio 2012, secondo la quale «il giudice non può rilevare di ufficio l’eventuale discordanza tra indennità di espropriazione e valore del suolo denunciato ai fini ICI, che può assumere rilievo solo su eccezione dell’espropriarne» [45].


Il recupero dell’imposta

Sia l’art. 16 del D.Lgs. 504/1992, al 2° comma [46], sia l’art. 37 del T.U. sugli espropri, all’8° comma [47], non trascurano di prendere in considerazione nemmeno l’ipotesi, favorevole per l’espropriato, di fatto abbastanza rara, di una dichiarazione effettuata con importi superiori rispetto a quelli quantificati in sede di determinazione dell’indennità di esproprio.

È importante rilevare, innanzitutto, che le citate disposizioni non sono state abrogate dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 338 del 22 dicembre 2011 e pertanto devono ritenersi tuttora applicabili.

Al riguardo, si evidenzia che il Testo Unico sugli espropri, al pari della precedente disciplina, prevede (tuttora) che all’espropriato venga corrisposta, a titolo di rimborso, una somma equivalente alla differenza tra l’importo dell’imposta pagata negli ultimi cinque anni e quello risultante dal calcolo dell’imposta effettuato sulla base dell’indennità di esproprio.

La Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza 24 luglio 2007, n. 16299, richiamando le previsioni contenute nell’art. 16, 2° comma, D.Lgs. 504/1992 e nell’art. 37, 8° comma, D.P.R. 327/2001, ha statuito, confermando una precedente pronuncia [48], che le stesse «non attengono alla determinazione della corretta misura dell’ICI nel rapporto tra il titolare della pretesa tributaria ed il contribuente ma […] mirano a ristorare il proprietario del pregiudizio a lui derivante nel caso che l’imposta versata nei cinque anni precedenti all’espropriazione, conteggiata sulla base del valore venale del bene, sia superiore a quella che sarebbe risultata se fosse stata calcolata sull’indennità di espropriazione effettivamente corrisposta».

Sul piano operativo...


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Il tenore letterale dell’art. 16 del D.Lgs. 504/1992, che al 1° comma faceva riferimento alle aree edificabili («In caso di espropriazione di area fabbricabile […]»), mentre nel 2° comma richiamava più in generale la pendenza di un procedimento espropriativo («caso di espropriazione per pubblica utilità […])», lasciava intendere [50], che mentre l’obbligo di ridurre l’indennità al valore dichiarato/denunciato ai fini dell’ICI (1° comma) riguardava solo l’espropriazione di aree edificabili, la maggiorazione dell’indennità dovuta per l’eccessiva imposta pagata (2° comma) si riferiva all’espropriazione indistinta di immobili, e dunque anche di fabbricati e terreni agricoli, oltre che di aree edificabili.

Diversamente, analizzando la disciplina del T.U. sugli espropri, si rileva che la disposizione che prevede il riconoscimento dall’espropriante all’espropriato della differenza della maggior imposta pagata è collocata all’interno dell’art. 37, dedicato alla «Determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un’area edificabile».

Pertanto, si ritiene di poter sostenere che...


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