Dichiarazione ICI ed indennità d'esproprio: novità della giurisprudenza della Cassazione

I problemi interpretativi sollevati dall’art. 16 del D.Lgs 504 del 1992

L’art. 16 del citato decreto legislativo, che ha istituito l’ imposta comunale sugli immobili, prevede al primo ed al secondo comma due norme tese a raccordare la determinazione della indennità di espropriazione delle aree fabbricabili con la base imponibile del suddetto tributo.

Il primo comma stabilisce infatti che in caso di espropriazione di aree fabbricabili l’indennità dovuta al proprietario è ridotta ad un importo pari al valore indicato nell’ultima dichiarazione o denuncia da egli presentata qualora il valore dichiarato risulti inferiore. Il comma successivo prevede, invece, a favore di coloro che abbiano dichiarato ai fini ICI un valore superiore a quello della indennità di espropriazione, una maggiorazione dell’indennizzo pari alla differenza tra l’importo dell’imposta pagata dall’espropriato o dal suo dante causa per il medesimo bene negli ultimi cinque anni e quello risultante dal computo dell’imposta effettuato sulla base dell’indennità.

Nel dare applicazione a tali disposizioni la giurisprudenza si è trovata di fronte a due principali problemi ermeneutici.

Il primo, di ordine sostanziale, riguarda l’applicabilità del primo comma dell’art. 16 del D.Lgs 504 del 2002 anche al caso in cui il proprietario espropriato abbia omesso di presentare la denuncia ICI, evadendo, così, totalmente l’imposta. Il secondo problema concerne invece la rilevabilità d’ufficio del meccanismo di riduzione o maggiorazione dell’indennizzo previsto dalla suddetta norma da parte del giudice adito per la sua determinazione, anche a prescindere da specifiche eccezioni o allegazioni di parte.

Con riguardo alla prima questione, in aderenza alla ratio della norma volta a reprimere l’evasione dell’ICI da parte dei proprietari di aree edificabili attraverso una corrispondente decurtazione della indennità di esproprio, in un primo momento si era affacciata la tesi secondo cui l’indennità dovuta al contribuente che, non presentando la dichiarazione, non avesse messo l’amministrazione in grado di operare il confronto fra l’indennità di espropriazione prevista per le aree edificabili e il valore dell’area dichiarato ai fini della imposta comunale sugli immobili, dovesse essere liquidata secondo i criteri previsti per i suoli agricoli.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione, fin dalle sue prime pronunce sull’argomento, ha tuttavia escluso che la omessa denuncia ICI da parte dell’espropriato potesse comportare una siffatta conseguenza.

Secondo la Corte Suprema osta ad una simile soluzione interpretative sia il dato letterale della norma, che contempla solo l’ipotesi della dichiarazione infedele ma nulla dice riguardo al caso della sua mancata presentazione, sia il principio costituzionale della congruità del ristoro dovuto al proprietario espropriato per ragioni di pubblica utilità (art. 42 Cost.) il quale, anche alla luce dei principi sanciti in materia dalla Corte Europea dei diritti umani [1], impone un aggancio dell’indennità al valore effettivo del bene, impedendo così che l’evasione totale o parziale di un tributo possa riverberarsi nella menomazione di un diritto costituzionalmente garantito, come accadrebbe se un area edificabile dovesse essere indennizzata come agricola.

La S.C. ha quindi aderito ad una interpretazione riduttiva della portata della norma ritenendola applicabile solo ai casi di evasione parziale del tributo nei quali il proprietario dichiari ai fini ICI un valore dell’area fabbricativa inferiore rispetto a quello reale e non anche alle ipotesi di evasione totale che si concretano nella omessa presentazione della denuncia fiscale [2].

La soluzione adottata dalla Cassazione comporta però che le fattispecie più gravi di evasione della imposta beneficino di un regime sanzionatorio meno rigoroso rispetto a quelle in cui il contribuente, attraverso una dichiarazione infedele, abbia solo parzialmente assolto al suo obbligo nei confronti dell’erario. Infatti, pur operando in entrambi i casi le sanzioni ed i meccanismi di accertamento d’ufficio del tributo previsti dalla legislazione fiscale, resta il fatto che, secondo l’indirizzo seguito dalla Cassazione, la decurtazione dell’indennità di esproprio viene ad essere operata solo a carico di coloro che abbiano dichiarato un valore dell’area inferiore all’indennità determinata secondo i criteri vigenti, e non anche agli evasori totali.

L’irragionevolezza di tale conseguenza è stata oggetto di eccezione di incostituzionalità della norma sollevata incidentalmente innanzi alla Corte Costituzionale.

La Consulta, con la sentenza n. 351 del 25/07/2000 [3], ha tuttavia ritenuto costituzionalmente legittimo il disposto dell’art. 16 del D.Lgs 504 del 1992 sulla base di una sua ricostruzione sistematica che si discosta da quella fatta propria (anche se, come vedremo, in tempi recenti, modificata) dalla Corte di Cassazione.

Secondo la Corte Costituzionale, infatti, alla base del meccanismo previsto dalla suddetta norma vi è l’esigenza di scoraggiare l’evasione dell’ICI e, nello stesso tempo, di far si che la determinazione della indennità di espropriazione e la imposizione della predetta imposta avvengano su una base comune data dal valore del terreno in entrambi casi preso in considerazione. Per raggiungere tale risultato il legislatore non ha tuttavia inteso punire gli evasori del tributo riducendo l’indennità di espropriazione a loro spettante ad un importo corrispondente al valore dell’area da essi dichiarato nella denuncia fiscale, ma ha invece voluto porre in essere un meccanismo di verifica della fedeltà del contribuente e di eventuale recupero della imposta evasa in occasione del pagamento della indennità di espropriazione.

Ciò ha fatto prevedendo che l’amministrazione prima di pagare l’indennizzo accerti se il proprietario espropriato ha presentato la dichiarazione ICI e se l’importo dichiarato corrisponde almeno all’indennizzo liquidato. Nel caso in cui tale verifica dia esito positivo essa potrà procedere al pagamento della indennità, ed anzi, qualora il valore dell’area dichiarato dal proprietario superi l’importo dell’indennizzo liquidato, dovrà restituire l’ICI pagata in eccesso nell’ultimo quinquennio.

Nel caso in cui, invece, il proprietario non abbia presentato la dichiarazione fiscale o l’importo dichiarato risulti inferiore all’indennità di espropriazione determinata dalla p.a., questa ne potrà sospendere il pagamento fino all’intervenuta regolarizzazione della posizione tributaria dell’interessato che potrà avvenire o attraverso la spontanea presentazione di una dichiarazione in rettifica (con conseguente pagamento delle imposte evase e delle relative sanzioni e soprattasse) o mediante l’accertamento d’ufficio della base imponibile del tributo e l’avvio della procedura volta al suo recupero.

Pur essendo chiara nella sue linee generali l’impostazione della Corte Costituzionale lasciava tuttavia in ombra le conseguenze processuali a carico dell’espropriato che, pur non avendo presentato la dichiarazione ICI, o avendone presentata una infedele, avesse adito le vie giurisdizionali per la determinazione della indennità di espropriazione. Invero, restava incerto se la sospensione della erogazione del tributo in attesa della regolarizzazione della posizione del contribuente comportasse la temporanea improcedibilità del giudizio di determinazione della indennità di espropriazione fino al definitivo accertamento dell’ammontare del tributo.

E’ probabilmente per evitare tale penalizzante conseguenza che la soluzione ermeneutica sposata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 351 del 2000 non ha attecchito nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale, talvolta in dichiarato contrasto con le affermazioni della Consulta [4], ha continuato a limitare il campo di applicazione dell’art. 16 del D.Lgs 504/92 alle sole ipotesi di presentazione di dichiarazione ICI infedele, escludendo, invece, ogni conseguenza negativa a carico del proprietario che la avesse del tutto omessa.


Gli spunti di novità contenuti nella più recente giurisprudenza della Cassazione

Negli ultimi tempi talune sentenze della Corte Suprema sembrano tuttavia voler recuperare l’insegnamento della Corte Costituzionale [5]. Si va infatti affermando un indirizzo secondo il quale, fermo restando che l’evasore totale non perde il suo diritto ad un indennizzo espropriativo commisurato al valore fabbricativo dell’area, egli ha tuttavia diritto di percepire tale indennizzo solo « dopo la verifica che essa non superi il tetto massimo ragguagliato al valore accertato per l’I.C.I. stessa, ed a seguito della regolarizzazione della posizione tributaria con concreto avvio del recupero dell’imposta e delle sanzioni ».

In altri arresti la Corte Suprema ha poi precisato che l’irregolarità della posizione fiscale del proprietario espropriato non incide sulla proponibilità della domanda giudiziale di determinazione dell’indennizzo, ma solo sulla effettiva erogazione della indennità giudizialmente determinata la quale rimane subordinata alla regolarizzazione della posizione contributiva del proprietario espropriato [6].

Sembrerebbe quindi di capire che, secondo il nuovo orientamento che si va profilando in seno alla Corte Suprema, le irregolarità fiscali inerenti la dichiarazione ICI inciderebbero sulla fase di cognizione, nella quale viene accertato l’ammontare della indennità di espropriazione, ma solo sulla esecutività della sentenza che la determina condannando la p.a. al deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti della differenza fra l’importo giudizialmente accertato e quello determinato in sede amministrativa.

Si tratta, peraltro, di una soluzione processuale coerente rispetto alla premessa sostanziale secondo cui l’indennità di espropriazione non va ragguagliata al valore dell’area dichiarato dal contribuente nella denuncia infedele ma a quello costituente la reale base imponibile del tributo. Infatti, la determinazione di tale elemento dell’imposta può a sua volta divenire oggetto di una controversia di natura fiscale appartenente alla giurisdizione delle commissioni tributarie: ritenere che esso possa essere, ancorché incidentalmente, accertato dal giudice civile in sede di determinazione dell’indennizzo, ma senza efficacia di giudicato nel rapporto tributario, significherebbe correre il rischio di accertamenti difformi del valore dell’area ai fini espropriativi ed a quelli ICI mettendo così in crisi il principio di armonizzazione fra i due sistemi sancito dalla Corte Costituzionale ed accolto ora anche da quella di Cassazione.

Tali conclusioni rilevano anche per la soluzione del secondo problema posto dalla norma in esame inerente alle modalità processuali di rilevazione della difformità fra indennità di espropriazione ed il valore dell’area indicato nella dichiarazione ICI.

Il dibattito svoltosi sul punto si è fino ad oggi concentrato sul problema se la decurtazione dell’indennizzo prevista dall’art. 16 del D.Lgs 504 del 1992 in corrispondenza di un minor valore dell’area dichiarato dal proprietario espropriato ai fini dell’assolvimento dell’ICI possa essere rilevata d’ufficio dal giudice adito dal privato che si opponga alla stima effettuata dalla p.a. oppure debba essere eccepita dalla parte interessata.

In proposito l’indirizzo prevalente della Cassazione la Cassazione ha affermato che il meccanismo di adeguamento della indennità di espropriazione al valore dell’area da dichiararsi ai fini dell’assolvimento dell’ICI, introdotto dall’art. 16 del D.Lgs 504 del 1992, non va considerato come un criterio di determinazione dell’indennizzo integrativo di quello previsto dall’art. 5 bis della L. 359 del 1991 (ed ora dell’art 37 del D.P.R. 327 del 2001), trattandosi invece di una fattispecie diversa ed esterna rispetto a quella da cui trae origine il diritto alla indennità di espropriazione la quale opera come un fatto modificativo e/o parzialmente estintivo di tale diritto.

Da tale premessa la Corte Suprema ha tratto la conclusione che il diritto dell’ente espropriante alla decurtazione dell’indennizzo in corrispondenza del minor valore dell’area dichiarato dal proprietario ai fini ICI non sia soggetto alle regole officiose che presiedono la determinazione dell’indennità nel giudizio di opposizione alla stima [7], ma debba essere, invece, fatto valere dall’amministrazione in tale sede attraverso tempestive allegazioni e deduzioni probatorie [8] [9].

Tali affermazioni dovrebbero essere tuttavia oggi riviste alla luce del nuovo indirizzo della S.C. che, rifacendosi all’insegnamento della Corte Costituzionale, ritiene che l’applicazione dell’art. 16 del D.Lgs 504 del 1992 non incida sulla determinazione del quantum dell’indennità di espropriazione, ma ponga in essere solo un meccanismo procedurale di raccordo fra la erogazione dell’indennizzo e l’accertamento della regolarità della posizione fiscale del proprietario espropriato nell’assolvimento dell’imposta comunale sugli immobili.

Siffatta impostazione, come si è già osservato, comporta che le conseguenze previste dalla citata norma a carico del proprietario che abbia evaso in tutto o in parte il predetto tributo consistano principalmente nel rinvio della erogazione della indennità di espropriazione al momento dell’effettivo accertamento della relativa base imponibile e dell’avvio delle procedure di recupero. E ciò con la conseguenza, puntualmente rilevata anche dalla S.C., che la eventuale mancata o infedele dichiarazione ICI non incida sulla determinazione della indennità di espropriazione, rimanendo del tutto estranea al relativo giudizio nel quale non può fare ingresso né in via di azione, né in via di eccezione.

La rilevanza delle suddette irregolarità fiscali può invece assumere rilevanza ai fini della esecuzione della sentenza che determina l’indennità dovuta al proprietario alla quale l’amministrazione potrà opporsi fino al momento in cui intervenga la regolarizzazione della relativa posizione tributaria.

La sede per proporre tutte le questioni derivanti dalla applicazione dell’art. 16 del D.Lgs L. 504 del 1992 dovrebbe allora essere quella della opposizione alla esecuzione che l’amministrazione potrà instaurare nelle more della conclusione del procedimento tributario per l’accertamento della base imponibile del tributo non dichiarata o infedelmente dichiarata dal proprietario, oppure, qualora, l’indennizzo determinato dalla Corte d’Appello risulti superiore al valore dell’area così come accertato ai fini tributari.

Fermo restando che qualora fra le parti insorga una controversia relativa all’esatto valore dell’immobile da porre alla base della determinazione dell’imposta, il giudice dell’esecuzione dovrà sospendere il giudizio fino alla definizione della questione da parte delle Commissioni Tributarie, stante l’esigenza di armonizzazione fra l’indennizzo percepito ed il tributo corrisposto dal proprietario espropriato che sta a fondamento del sistema 

Autore

Gisondi, Raffaello

Magistrato del TAR di Firenze